«Dopo il crollo ci si chiedeva dove fosse stato / Dio in quei pochi minuti. Ma era così facile: / era il figlio sotto le mura piene di sabbia / era quei nomi, Antonina, Luisa, Luigi / era la mano stretta fino alla scomparsa del mondo. / A non crederci ci si perdeva nella confusione / delle responsabilità e delle colpe / della sfortuna maledetta che colpisce i più fragili».
L’accostamento di poesia e cronaca, attualità, di regola mortifica l’una e le altre, va evitato a tutti i costi. Ma come leggere Tu, paesaggio dell’infanzia Tutte le poesie (1997-2018) di Alba Donati (La nave di Teseo, pp. 297, € 18,00) il giorno di ferragosto, su una spiaggia della riviera di Ponente, senza che il pensiero si fermi, non lontano, alle macerie del ponte Morandi sul Polcevera, dove si sta ancora scavando alla ricerca dei corpi di vivi e morti, ancora attoniti alla sfortuna maledetta, già persi nella confusione di responsabilità e colpe?
Dal sorprendente esordio, La repubblica contadina (1997), allo straziante Pianto sulla distruzione di Beslan, che suggella la sua terza raccolta, Idillio con cagnolino (2013), Alba Donati ha coltivato, nella sua voce piana – così personale senza alcun bisogno d’effetti speciali –, una poesia apertamente ‘civile’, soave e baldanzosa, raffinata ma genuinamente popolare, spesso cantabile (vedi le ballate, e ovunque il gusto dell’anafora), che immagino renda assai bene alle letture pubbliche.
V’è sapiente naturalezza – e scaltrezza quasi cinematografica – nel modo, certo impremeditato, con cui la «Storia di Valerio» (lo zio paterno, annegato nell’inutile scoppio di una diga, nel ’44) e quella di Giulia (una bambina di cinque anni, travolta dall’alluvione dell’Alta Versilia, 1996) s’intrecciano e richiamano, dalla Repubblica contadina a Non in mio nome (2004), convergendo in un’unica dolente ‘storia sottomarina’. Che si trascina nel suo flusso, delicata e impavida, reminiscenze dantesche (il corpo di Bonconte, voltato «per le rive e per lo fondo») e metamorfosi shakespeariane (ma nella poesia della Donati anche ciò che si muta «into something rich and strange» conserva la sua fiera «povertà»!); e forse si compie – o sono io, che, fresco di letture più romantiche, ce la sento – in una variazione sul mito amoroso di Alfeo e Aretusa.
A proposito di trasparente amore, è senza dubbio una dichiarazione di poetica, oltre che di erotica, l’epigramma spudorato: «Non desidero essere originale / l’amore mi piace così come dev’essere: / fedele, ripetitivo, corporale».
Qualità che descrivono egregiamente anche i componimenti dell’ultima sezione (quella che dà il titolo a Tutte le poesie), inediti o apparsi solo in rivista. Dove la ‘musa civile’ si fa appena da parte (ma vedi Amatrice: «Se crolla un intero paese / il mondo non capisce subito / che risuona nel pianto delle pietre»…) per lasciare spazio a una contemplazione più intensa del «paesaggio dell’infanzia» – la Garfagnana, il minimo borgo appenninico di Lucignana –, che comunque presiede, fin dall’inizio, a tutto il libro. Qui s’infittisce quel dialogo, spesso quasi muto, fra donne di diverse generazioni (nonna, madre, figlia) al quale, senza dubbio, Alba Donati crede a baluardo della confusione di responsabilità e colpe (e qui forse la storia di Valerio/Giulia riaffiora, purificata d’ogni umano o diabolico scempio: «Ma tu canti, sai cantare / perfino sott’acqua, perfino il tuo nome // nella cabala è canto»).
Intanto il pensiero ritorna al crollo sul Polcevera, che, villeggiando in Riviera da tutta la vita, fa così parte del paesaggio della mia infanzia. Letterato marcio quale sono, come ho sentito della tragedia, ecco che ha cominciato a risuonarmi in testa l’attacco di un’antica poesia di Giuseppe Conte: «La Liguria crollerà in mare, è certo, i suoi / confini alti al vento…». S’intitola Secondo la profezia e si trova nel suo primo formidabile libro, L’oceano e il ragazzo, uscito nell’83 nella Bur con prefazione e note di Giorgio Ficara, uno dei nostri pochi critici che sanno davvero riconoscere e accompagnare i poeti. E – più che una coincidenza! – è sempre Ficara a tracciare, nella Postfazione a Tu, paesaggio dell’infanzia, la mappa dei ‘paesaggi adulti’ di Alba Donati, da Adorno a Garboli, da Montale a Zanzotto: viatico prezioso non solo per il lettore, ma per la stessa autrice di una poesia già così compiuta, però che ha tutto il tempo (e la forza) di spingersi verso altre contrade, ‘originalità’ forse, chissà, all’improvviso desiderabili.