Alaa al Aswani è lo scrittore arabo più di successo degli ultimi decenni. “Palazzo Yacoubian” e gli altri suoi romanzi sono stati pubblicati in decine di Paesi. E’ noto anche per la sua lunga opposizione ad Hosni Mubarak, il presidente-faraone costretto a dimettersi sotto l’urto della rivoluzione di piazza Tahrir del 25 gennaio 2011. Controverse invece sono state le posizioni che ha espresso prima e nelle fasi successive al golpe militare del 2013 contro il presidente islamista Mohammed Morsi, poi sfociato nel regime di Abdel Fattah al Sisi. Abbiamo raggiunto al telefono Alaa al Aswani a Londra dove lo scrittore egiziano partecipa alla Fiera del Libro.

Parliamo subito del brutale assassinio al Cairo di Giulio Regeni e dell’atteggiamento delle autorità egiziane

Penso che sia totalmente comprensibile l’impegno dell’Italia per arrivare ai veri responsabili di questo assassinio. Da parte mia non posso che esprimere la mia piena solidarietà alla famiglia di Giulio Regeni.

Le autorità egiziane chiamano in causa criminali comuni. Gli italiani e anche tanti egiziani puntano l’indice contro i servizi di sicurezza

Senza prove non sono in grado di lanciare accuse dirette ma non posso fare a meno di ricordare le violazioni dei diritti umani da parte della sicurezza egiziana. Numerosi cittadini (egiziani) sono svaniti nel nulla. Sappiamo dell’uso della tortura e abbiamo migliaia di prigionieri (politici), molti dei quali denunciano di aver subito violenze. E non dimentichiamo la legge sulle manifestazioni che prevede lunghe pene detentive per chi partecipa a cortei (non autorizzati dalla polizia). Non sono un investigatore, non ho le prove per affermare il coinvolgimento degli apparati di sicurezza nell’assassinio di Regeni, però questi apparati sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.

Qualche tempo fa lei ha detto che gli egiziani sono cambiati, che quelli di oggi non sono uguali a quelli del periodo di Mubarak. Gli uomini dei servizi di sicurezza invece sono rimasti gli stessi

Purtroppo sì e si accaniscono in particolare contro gli egiziani protagonisti della rivoluzione del 2011. Hanno un desiderio di vendetta, conservano un’idea negativa della rivoluzione. Secondo loro fu innescata da un gruppo di teste calde e che il popolo egiziano non la voleva. Non comprendono che il nostro Paese vuole andare avanti.

Le speranze nel 2011 sono state tradite, oggi abbiamo il regime di Abdel Fattah al Sisi, simile se non peggiore di quello di Mubarak. Cosa è andato storto in questi cinque anni

Tante cose non sono andate per il verso giusto. Però la storia ci insegna che una rivoluzione ha bisogno di tempo per affermarsi, per trasformare uno Stato. Una rivoluzione si fonda sul coraggio e il cuore dei rivoluzionari mentre un regime ha tutto dalla sua parte: potere, soldi, forza. E se la rivoluzione non riesce a scardinare completamente tutto questo, il vecchio regime riemerge come una tigre ferita. Dobbiamo tenere presente che i protagonisti del 2011 non sono stati in grado di completare la rivoluzione e di contrastare la controrivoluzione scattata dopo l’uscita di scena di Mubarak. Però non è finita e quanto abbiamo vissuto cinque anni fa a piazza Tahrir può e deve ripetersi fino al traguardo.

Tra le cose andate male c’è prima di tutto il colpo di stato militare del luglio 2013 e le centinaia di civili uccisi il mese successivo al Cairo e in altre città dell’Egitto. Come molti leader occidentali, gli intellettuali e tanti esponenti della sinistra egiziana si sono nascosti dietro la scelta tra il “minore dei due mali”, ossia tra il potere dei militari e quello dei Fratelli Musulmani e del presidente deposto Morsi. Anche lei è stato accusato di aver preferito il presunto “male minore”. Non crede che ciò abbia contribuito a dare al regime di al Sisi la libertà di azione poi impiegata per imporre un sistema brutale

C’è stata una cattiva informazione almeno per ciò che mi riguarda. Morsi fu eletto (nel 2012). Boicottai il secondo round delle elezioni perchè non potevo e non volevo votare per i Fratelli Musulmani. Allo stesso tempo dichiarai che l’Egitto doveva rispettare la vittoria di Morsi che sarebbe rimasto al potere per quattro anni. Però il 22 novembre 2012 Morsi, con un decreto presidenziale, annullò la legge (elettorale) egiziana. La sua mossa mi fece pensare a quanto era avvenuto in Perù, ai tempi di Fujimori che con un decreto simile azzerò la democrazia. Perciò diedi il mio appoggio alla organizzazione dello sciopero del 30 giugno 2013 (contro Morsi, organizzato dal movimento “Tamarod” e che aprì la strada al golpe militare, ndr) e raccolsi firme per le elezioni presidenziali anticipate. Sono convinto di aver fatto la cosa giusta in quella occasione. Non ho mai sostenuto ciò che è accaduto in seguito e il ritorno al potere del vecchio regime. L’intervento dell’Esercito doveva limitarsi ad impedire la guerra civile in cui stava precipitando l’Egitto. Cinquanta anni fa aveva fatto lo stesso l’Esercito francese senza poi andare al potere. Nella Tunisia rivoluzionaria le forze armate sono intervenute per proteggere il sistema democratico. Non si poteva lasciare al potere un islamista (Morsi) che aveva cancellato una parte centrale della legge egiziana allo scopo di dare vita ad uno Stato islamico.

Occorre alzare forte la voce contro il regime di al Sisi

Certo, cerco di farlo in ogni modo e tutte le volte che posso. Vi ricordo che non sono autorizzato a pubblicare i miei articoli in Egitto. Siamo solo all’inizio di un processo storico e la strada del successo delle nostre aspirazioni è lunga come ci hanno insegnato la rivoluzione francese e quella russa. Però sono ottimista, so che gli egiziani raggiungeranno il traguardo.