Il sì al governo Draghi sulla piattaforma Rousseau vince ma non straripa. Votano in poco meno di 75 mila su 120 mila iscritti e il sì rimane poco sotto il 60%. Se si considera che quasi tutti i 5 Stelle di primo piano aveva invitato a votare sì e che il quesito era stato formulato in modo da spostare il giudizio degli indecisi a favore dell’accordo, la vittoria appare ancora più sfumata.

SONO VALUTAZIONI che forniscono il metro delle opinioni interne al M5S, ma sono numeri che già da domani lasciano il tempo che trovano. Perché Grillo ha ancorato la scelta di appoggiare il governo ad una trasformazione radicale della forza politica che ha contribuito in maniera decisiva a fondare. Lo ha ribadito ancora ieri mattina, mentre si aprivano le urne virtuali di Rousseau, pubblicando sul suo blog un elenco di punti programmatici per il M5S del futuro, «azioni da mettere in atto secondo gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu» che spaziano dalla tanto discussa «transizione ecologica» al «reddito universale», passando per una patrimoniale per le grandi ricchezze.

TUTTO CIÒ per adesso incontra il favore di Luigi Di Maio. Probabilmente questa convergenza avviene più per l’aspirazione dell’ex capo politico di entrare anche nel terzo esecutivo di questa legislatura che per convinzioni programmatiche. «La responsabilità è il prezzo della grandezza – esulta Di Maio – I nostri iscritti hanno dimostrato ancora una volta grande maturità. Il M5S sceglie la strada del coraggio e della partecipazione, ma soprattutto sceglie la via europea». Appena chiudono le urne, anche se i risultati devono ancora arrivare, il M5S si sbilanciano sulla fazione governista: «Siamo quelli grazie ai quali è stato ridotto il numero dei parlamentari, è stato introdotto il Superbonus, è stato ottenuto il Recovery Fund da oltre 200 miliardi – dice il dispaccio – E siamo l’unica forza politica che ha portato una proposta concreta a Draghi: il ministero della transizione ecologica».

NON TUTTI accettano di schierarsi, forse perché percepiscono la base in subbuglio. «Troppo volte ci facciamo suggestionare da proclami, appelli e monologhi fatti, anche dal sottoscritto», afferma il presidente della commissione antimafia Nicola Morra, che in un primo momento era parso più schierato contro l’accordo. Anche il vicepresidente del parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo, non una testa calda, non dà esplicita indicazione di voto ma sposta il focus della consultazione sulla figura del capo: «La vera domanda che dovremmo porci non è tanto il quesito che ho letto, più o meno opinabile, ma è piuttosto: ti fidi delle valutazioni negoziali e della visione di futuro di Beppe Grillo?».

DI DIVERSO TONO l’appello del presidente della camera Roberto Fico, unico a far riferimento alla maggioranza relativa che sosteneva il Conte bis e che adesso cerca di mantenere una forma di coordinamento mentre si appresta a entrare nel governo Draghi. «Non possiamo permetterci salti nel buio – dice Fico – Siamo in un contesto profondamente cambiato rispetto al momento in cui il Movimento ha mosso i suoi primi passi. E proprio il M5S, forza di maggioranza relativa in parlamento, riveste un ruolo cruciale, nell’ambito dell’asse stabile e leale costruito nei mesi precedenti con Pd e Leu».

LA NUOVA FASE cui fa riferimento Fico non giustifica il sì a Draghi per Alessandro Di Battista. «Da Dell’Utri a Bontate: il curriculum di Berlusconi ci impone di dire No al nuovo governo» è il messaggio col quale l’ex deputato aveva stuzzicato un’altra delle matrici identitarie, forse quella dalla quale il M5S ha assunto più automatismi mentali: l’antiberlusconismo. Ma neanche questo ha funzionato fino in fondo. Di Battista quando apprende i risultati compare in diretta Facebook e annuncia un passo indietro «Non posso far altro, da ora in poi, che parlare a nome mio – fa sapere – Se poi un domani la mia strada dovesse incrociare di nuovo quella del M5S lo vedremo, dipenderà esclusivamente da idee politiche, atteggiamenti e prese di posizione, non da candidature o ruoli. Faccio un grande in bocca la lupo ai miei ex colleghi». Altri fanno capire che non hanno intenzione di adeguarsi alla linea. Tra questi ci sono i senatori Mattia Crucioli, che non ha votato su Rousseau perché considera illegittimo il modo in cui è stato posto il quesito, Emanuele Dessì, che parla di «brutta pagina per la democrazia» e Paolo Cabras. Probabilmente è davvero troppo poco per far traballare il M5S trainato nuovamente da Grillo.