Il Venezuela si avvicina al 30 luglio, la data prescelta per il voto che eleggerà l’Assemblea costituente voluta dal presidente Maduro per «blindare le misure sociali» e contrastare le lobby e la destra venezuelana che proprio ieri hanno proclamato una giornata di mobilitazione scandita dallo slogan «la presa di Caracas».

IL GOVERNO ha annunciato il divieto di ogni manifestazione fino al 2 agosto: chi scenderà in strada rischia da 5 a 10 anni di detenzione. Intanto ieri è morto un agente della polizia venezuelana ferito a Ejido, nello stato di Merida (nella parte occidentale del paese). Lo ha reso noto la Procura generale: Oneiver Jhoan Quinones Ramires (30 anni) stava smontando una barricata eretta da manifestanti dell’opposizione insieme a un altro poliziotto, quando è stato raggiunto da uno sparo di arma di fuoco alla testa. Due – invece – le vittime tra i manifestanti dell’opposizione, benché le cause delle loro morti, mentre scriviamo, non siano state ancora confermate dall’autorità.

Si tratta degli ennesimi eventi che scandiscono la gravità della situazione venezuelana, sempre più simile a una sorta di «guerra civile a bassa intensità»: da mesi ormai le manifestazioni pro Maduro e quelle della Mud si fronteggiano sulle strade del paese. Secondo l’ufficio del procuratore generale dall’inizio delle proteste sarebbero oltre cento le vittime, tra poliziotti e manifestanti di entrambe le parti.

IN MEZZO A VITTIME, scontri dialettici e all’intervento esterno di altri stati per supportare o condannare a Maduro, rimane la sensazione di un Venezuela profondamente diviso e in balia di queste giornate che rischiano di innalzare pericolosamente il livello dello scontro. Anche perché pesa e non poco l’ingerenza americana: dopo le sanzioni volute da Trump contro 13 persone fisiche, tra cui ministri ed ex ministri, ieri Washington ha invitato i familiari del proprio personale diplomatico ad abbandonare il paese. Sul caso è intervenuta anche l’Onu: l’Alto commissariato per i diritti umani ha chiesto alle autorità del Venezuela di rispettare i diritti dei cittadini, la libertà di espressione, di assemblea e di manifestazione pacifica.

IL VOTO PER L’ASSEMBLEA costituente rappresenta un tentativo estremo di Maduro di provare a ottenere una pacificazione di natura politica al di là delle scelte economiche del paese, che sono risultate ovviamente sgradite alle oligarchie locali ma che hanno finito per pesare anche su strati sociali che hanno supportato e favorito il processo bolivariano. E proprio a loro Maduro getta l’amo per risalire la corrente, perché l’Assemblea costituente, incaricata di riscrivere la Costituzione, sarà proprio composta da quelle parti sociali più favorevoli, almeno in teoria, al presidente e al processo bolivariano.

DEI 545 MEMBRI, 364 saranno eletti per competenza territoriale, 173 per ambito sociale, ovvero 5 imprenditori, 8 contadini e pescatori, 5 disabili, 24 studenti, 79 operai, 24 rappresentanti dei Consigli comunali e altri organismi locali, 28 i pensionati; inoltre vi saranno otto rappresentanti delle comunità indigene. Le destre contestano proprio queste caratteristiche che non permetterebbero una vera e propria mediazione sulla base del loro concetto di «unità nazionale» supportato anche dai vescovi locali, non proprio in linea con le indicazioni di papa Francesco, oltre che da potentati economici. Quando sarà eletta l’Assemblea costituente, la cui convocazione da parte del presidente è prevista dalla Costituzione (art.348), sarà l’organo legislativo e tutto quanto verrà deciso dovrà essere sottoposto all’approvazione popolare.

LA SFIDA VERA PER MADURO, specie per quanto riguarda l’opinione pubblica internazionale, sarà sull’affluenza. Se sarà ampia, le opposizioni dovranno rassegnarsi, perché significherà che Maduro rappresenta ancora la maggioranza del paese, contraria a un processo liberista comandato dalla longa manus americana che di recente pare essersi tornata ad occupare del «proprio cortile di casa». Secondo fonti della Commissione elettorale gli aventi diritto al voto saranno almeno 19 milioni, ovvero un dato equivalente alle ultime politiche del 2015.