Accompagnata da un’ampia copertura mediatica è partita nelle notte tra venerdì e sabato l’operazione dell’esercito libanese “Alba di Jroud” contro lo Stato islamico. Le tv libanesi ieri hanno mandato in onda immagini dell’artiglieria che faceva fuoco verso bersagli lontani e di mezzi corazzati che avanzano nella provincia di Ras Baalbek e in quella di al Qaa. Almeno venti jihadisti sono stati uccisi e 30 kmq di territorio sono stati liberati, secondo un comunicato diffuso dalle forze armate. L’operazione in corso segue quella lanciata con successo a fine luglio dai combattenti del movimento sciita libanese Hezbollah nell’area di Arsal contro i miliziani di Hay’at Tahrir al Sham, composto in prevalenza dai qaedisti dell’ex Fronte an Nusra. Gli uomini del Califfato, o di ciò che resta di esso, invece sono presenti in un’area di 300 kmq, circa la metà dei quali in territorio libanese, da Arsal e dai villaggi di Ras Baalbek e Qaa, fino alla regione siriana tra il Qalamoun e la città di Qusair.

Il presidente Aoun, un ex generale, segue l’offensiva dal ministero della difesa e in un messaggio alle truppe si è detto sicuro della vittoria. Proclami simili sono giunti dal premier Saad Hariri che il mese scorso aveva avuto parole di apprezzamento anche per i successi militari ad Arsal di Hezbollah, suo avversario. «Stiamo progettando questi attacchi da oltre due settimane», ha spiegato ieri il portavoce dell’Esercito Ali Kanso «la nostra missione è liberare le aree di confine fino alla frontiera siriana». Lo Stato islamico è senza copertura anti-area e scarseggia di munizioni ma ha buoni cecchini e conosce bene la zona dove si combatte, quindi non sarà facile avere ragione dei suoi miliziani.

I comandi militari libanesi e una parte dei media locali hanno oscurato che, nelle stesse ore, l’Esercito siriano e i combattenti di Hezbollah sono avanzati rapidamente nella regione del Qalamoun, sul versante siriano del confine, in particolare nei distretti di Jurod Qara e Al Jarajir, stringendo da Est la morsa su centinaia di miliziani dell’Isis, non pochi dei quali si sono arresi cedendo il controllo del transito di Zamrani. Beirut nega qualsiasi coordinamento con le forze di Damasco e con Hezbollah, nell’apparente tentativo di non imbarazzare gli Usa, che sostengono con esperti militari e consiglieri l’Esercito libanese. Appena qualche giorno fa Washignton, in nome della “lotta al terrorismo” ha consegnato al Libano otto dei 32 veicoli da combattimento Bradley e 10 mezzi blindati promessi da tempo e nell’ultimo anno ha rifornito le truppe libanesi di pezzi d’artiglieria, veicoli da trasporti, armi automatiche, munizioni, visori notturni e radio. Forniture largamente insufficienti rispetto alle necessità delle forze armate libanesi, deboli e prive di mezzi nonostante la riorganizzazione avviata negli ultimi anni. Gli Usa evitano di fornire armi pesanti – su pressione, si dice, di Israele – perché potrebbero finire nelle mani di Hezbollah. Donald Trump ha più volte preso di mira il movimento sciita, alleato dell’Iran, che considera una “organizzazione terroristica”. Eppure da ieri i militari Usa che assistono l’Esercito libanese, prendono parte a una operazione “non coordinata” ma che di fatto vede la partecipazione di Hezbollah e delle forze armate siriane.

Intanto in Siria continua il lento ritorno alla calma registrato in questi ultimi mesi, dopo gli accordi sulla zone di de-escalation mediati dalla Russia. Ieri un altro gruppo jihadista, Faylaq ar Rahman, ha deciso di accettarli e di abbandonare le sue posizioni a Ghouta. La vita sta riprendendo in diverse aree del Paese e nella capitale dopo sei anni è stata organizzata la Fiera di Damasco. Alcune migliaia di sfollati hanno fatto ritorno alle loro case e si comincia a parlare con crescente insistenza di «ricostruzione». Tuttavia è prematuro parlare di «fine imminente» della guerra, come ha fatto a inizio settimana Butheina Shaaban, consigliere del presidente Bashar Assad. Il nord-est della Siria resta nel pieno del conflitto, lo Stato islamico controlla ancora Raqqa e significative porzioni del territorio orientale del Paese e Hay’at Tahrir a Sham detta legge nella provincia di Idlib. Ieri nei pressi di Latakiya, una roccaforte di Assad, un attentato ha fatto tre vittime.