Bauhaus_AYRBRB_Home 14_dopo Co-op. Interieur di Hannes Meyer (2014)

Se tutto procederà secondo programma, sarà una torre vetrata di cinque piani il nuovo simbolo che il Bauhaus-Archiv di Berlino si regalerà in occasione dei cento anni dalla fondazione nel 1919, per opera di Walter Gropius, della rivoluzionaria scuola di architettura e arti applicate.
Lo scorso ottobre, infatti, sono stati resi i noti i risultati del concorso di architettura indetto dal Senato per la pianificazione urbanistica della città di Berlino per l’ampliamento dell’archivio attuale, perché non più in grado di reggere l’urto di un pubblico che, nel 2014, ha raggiunto i 115.000 visitatori.
I vincitori, lo studio berlinese Volker Staab, già autori del Richard Wagner Museum di Bayreuth, superando lo studio Bruno Fioretti Marquez che già si erano occupati dell’eredità della Bauhaus, restaurando gli alloggi dei professori, progettati da Gropius nel ’26, avranno a disposizione un budget totale di circa 56 milioni di euro, equamente fornito tra governo centrale e governo regionale, per costruire ex-novo la parte museale di circa 6700 mq di superficie, alleggerendo così l’edificio esistente in cui rimarrà alloggiato l’archivio della scuola.

La torre vetrata, con i suoi cinque livelli di altezze tra loro differenti, sarà l’unico elemento riconoscibile di un intervento che si annuncia tutto rivolto ad una sobria e moderata presa di distanza dall’edificio esistente, dalla paternità particolarmente ingombrante. Se, infatti, quest’ultimo, completato nel 1979 su progetto postumo dello stesso Gropius in collaborazione con i colleghi americani del The Architects collaborative, si presenta come massiccio e compatto volume prevalentemente orizzontale dagli inaspettati tocchi lievemente espressionisti, il nuovo volume, che ospiterà gli spazi espositivi del Museum für Gestaltung, sarà tutto improntato su uno sviluppo verticale della nuova torre. Solo un elemento orizzontale ad altezza unica garantirà il collegamento tra i nuovi spazi museali e l’edificio di Gropius.

Se da un punto di vista architettonico, il progetto sembra seguire un canonico approccio minimalista, sotto il profilo urbanistico ci si aspetta che il nuovo intervento sia in grado di porre rimedio ad una situazione topografica complessa del quartiere di Schöneberg: chiuso tra l’edificio di Gropius, la villa Villa von der Heydt e il canale della Sprea, l’intervento degli architetti berlinesi sembra infatti, almeno sulla carta, riuscire a garantire finalmente ordine e visibilità all’intero complesso museale.

Se in una Berlino, forse un po’ meno sexy di qualche tempo fa, l’ampliamento di una istituzione culturale non fa forse notizia come altrove, la necessità dell’ampliamento del Bauhaus conferma, invece, la profezia di Mies van der Rohe, per il quale il «Bauhaus era un’idea e questo spiega la sua enorme diffusione: solo le idee si diffondono così tanto».

Fondata infatti con l’obiettivo remoto – come lo definì Gropius stesso – di unire gli insegnamenti di architettura e delle discipline artistiche in un’unica comunità di «artisti-artigiani», la Bauhaus non solo condividerà il tragico destino della Germania del primo Novecento, dalla fondazione del 1919 durante la fragile Repubblica di Weimar fino alla definitiva chiusura per mano nazista nel 1933, ma rappresenterà il rivoluzionario tentativo di costruire una scuola propriamente democratica, basata sulla diretta collaborazione tra maestro ed allievi.

Scriverà Gropius nel ’31, in occasione dell’inaugurazione di una mostra di suoi progetti a Zurigo, che «colui che si sente chiamato ed esprimere i propri pensieri alla comunità, ha tre possibilità a disposizione: scrivere dei libri, organizzare delle mostre, organizzare delle lezioni».
Il centenario della fondazione a Weimar del Bauhaus, potrebbe allora diventare l’occasione per ripensare al ruolo e la funzione di una scuola di architettura, per evitare il rischio, per la cultura architettonica, di rimanere intrappolata in quello che Tafuri chiamerà il carcere modello dell’auto-referenzialità.