Saranno 15mila i miliziani siriani che nei prossimi tre anni gli Stati uniti addestreranno in Giordania e Turchia per combattere l’Isis e il governo Assad. Il programma è cominciato in questi giorni in territorio giordano: l’obiettivo è mandarne il prima possibile qualche migliaio in Siria. Una goccia nel mare visti i numeri del califfo: ad arruolarsi al suo fianco sono sempre più musulmani stranieri, soprattutto europei.

Se è vero che la nazione che occupa il primo posto nella famigerata lista di “rifornitore” di jihadisti resta la Tunisia (che, nonostante i seri problemi economici e sociali, viene ancora descritta dai media occidentali come il modello riuscito delle primavere arabe), aumenta a dismisura la quota di musulmani, spesso immigrati di seconda generazione, che decide di cercarsi una nuova identità sotto la bandiera nera dell’Isis.

Nelle maglie dello Stato Islamico vengono attirati soprattutto grazie ai social network: così molti dei 6mila miliziani dell’Isis di origine europea sono finiti a combattere in Siria e Iraq. Si tratta per lo più di musulmani nati in Europa da famiglie di immigrati, spesso marginalizzati in Francia, Italia, Gran Bretagna, con poche prospettive di miglioramento economico e sociale e quindi facile preda di chi usa una falsa identità religiosa per promettere un futuro migliore.

Ma non solo musulmani: secondo un rapporto del Washington Post che cita fonti di intelligence, uno ogni sei miliziani stranieri dell’Isis si è convertito all’Islam in età adulta. Molti cristiani, alcuni ebrei, che hanno optato per l’Islam più radicale. Una recente indagine del parlamento francese dà i numeri dell’arruolamento, figli della marginalizzazione di certe comunità di migranti: la metà dei jihadisti europei dell’Isis arrivano dalla Francia. «A livello europeo, stimiamo che 5-6mila individui sono partiti per la Siria – ha detto in un’intervista a Le Figaro Vera Jourova, della Commissione Giustizia dell’Unione Europea – Sono spinti dal desiderio di avventura, noia, insoddisfazione per le loro condizioni di vita e mancanza di prospettive».

Se 3mila sono francesi, altri 650 – secondo dati di Berlino – sono tedeschi e 3mila provengono dai paesi dell’ex Unione Sovietica. Ancora più alti i dati dell’intelligenge Usa, secondo cui il numero di europei è passato in pochi mesi da 5mila a 8mila: un +60% che non può che preoccupare le cancellerie europee, incapaci di frenare il costante flusso di rinforzi a favore del califfo. Non inficiano le sconfitte subite: la perdita di Kobane per mano kurda e di Tikrit per mano irachena non ha intaccato le capacità di arruolamento del califfato che non solo offre prospettive economiche e salari mensili, ma che sa vendere bene le conquiste archiviate.

Secondo un rapporto dell’International Center for the Study of Radicalization and Political Violence, sarebbero 20mila i combattenti stranieri, provenienti da 50 diversi paesi nel mondo, compresi gli Stati Uniti. 11mila partono invece dal Medio Oriente.