Tutto pronto per un secondo round di «Abenomics». Le elezioni della camera Bassa giapponese, anticipate al 14 dicembre, hanno confermato un forte mandato nei confronti della coalizione guidata da Shinzo Abe (composta dal partito liberaldemocratico (Lpd) e dal Komeito, riferente all’organizzazione buddhista della Soga Gakkai). Abe – che chiedeva proprio una vittoria schiacciante – ha ottenuto 326 seggi su 475, anche se non va sottovalutato un dato che avvicina Tokyo alle contemporanee democrazie occidentali: ha votato solo il 52 per cento degli aventi diritti, un sintomo di disaffezione alla politica piuttosto chiaro, che costituisce un record negativo per il Giappone. Il Ldp si è assicurato 290 seggi, 5 in meno di quelli che aveva prima, mentre Komeito ne ha conquistati 4 arrivando a 35. Il partito democratico (Dpj), all’opposizione, ha guadagnato 6 seggi, arrivando così a 73: un risultato che seppure migliore del precedente, segna una clamorosa disfatta.

E ieri Abe ha parlato, celebrando il proprio successo e il clamoroso tonfo dei democratici, sempre più in difficoltà, tanto che Banri Kaieda, il presidente del Dpj, è rimasto fuori dalla Camera, non eletto. Abe, nel corso di una conferenza stampa effettuata ieri mattina, ha annunciato di voler dare la massima priorità alle questioni economiche, promuovendo ulteriormente le misure da lui già varate nel corso della precedente legislatura: «Porterò avanti la mia strategia di crescita», ha annunciato. «Ho ricevuto un messaggio dell’opinione pubblica che diceva, vai avanti con l’Abenomics», ha affermato.

Abe ha poi toccato anche il tema del nucleare. Il Giappone farà ripartire soltanto «i reattori nucleari che avranno superato i nuovi standard sulla sicurezza» decisi dopo la crisi di Fukushima: solo i due reattori della centrale di Sendai (nel cui collegio uninominale per altro il candidato Ldp, il partito di Abe, è stato battuto) prefettura di Kagoshima, hanno finora ottenuto il via libera di Authority e amministrazioni locali.

Avanti dunque con gli stimoli dell’Abenomics, anche se – nonostante la vittoria elettorale – non tutto il popolo giapponese sembra essere d’accordo. Stando agli analisti della Bbc, il 54 per cento dei giapponesi approverebbe in gran parte l’Abenomics, e il trio «delle politiche fiscali, monetarie e delle riforme strutturali», ma circa il 46% rimarrebbe decisamente scettico circa le politiche economiche del governo. Con un’affluenza alle urne mai così bassa dal secondo dopoguerra, la vittoria di Abe sembra essere stata determinata più dalla mancanza di una opposizione credibile ed efficace che da altri fattori.

E come ha sottolineato il quotidiano di Hong Kong, South China Morning Post, il vero colpaccio è stato quello dei comunisti, capaci di conquistare addirittura 21 seggi, un aumento importante rispetto agli 8 precedenti che consente ai comunisti di arrivare ad un numero a doppia cifra dopo ben 14 anni. Kazuo Shii, ha ritenuto che ad essere stata premiata sia stata proprio la forte opposizione al partito di Abe, compresa l’opposizione al trattato di libero commercio americano e il ritorno ad un nazionalismo militarista imposto da Abe. «Penso che la nostra battaglia contro l’amministrazione Abe e il suo atteggiamento e le nostre controproposte siano state apprezzate dagli elettori», ha detto Shii in una conferenza stampa post elettorale. Secondo gli analisti i comunisti sarebbero l’unica opposizione reale, una sorta di antitesi, al Partito liberal-democratico e a causa di una progressiva polarizzazione dell’elettorato giapponese, potrebbe ottenere risultati importanti anche in futuro.