«Potremmo dare gli arresti domiciliari degli stupratori di Rimini a casa della Boldrini, magari gli mettono il sorriso… Che ne pensate?». Da ieri l’hater Matteo Camiciottoli, sindaco leghista di Pontinvrea (Savna), che nel novembre 2017 scrisse questa frase sul proprio profilo Facebook, è a processo per diffamazione ai danni dell’ex presidente della Camera.

«Non è facile per una donna sentirsi dire certe cose e non è stato facile per mia figlia sapere che qualcuno vorrebbe che sua madre venisse violentata – ha scritto in una nota Laura Boldrini che ieri ha assistito alla prima udienza del processo – Qualche giorno fa Matteo Salvini mi ha chiesto pubblicamente di condannare le minacce di morte che aveva ricevuto a Milano durante una manifestazione di piazza. E io l’ho fatto perché sono convinta che il dibattito politico non possa essere dominato dall’odio e dalla violenza. Adesso – incalza Boldrini – sono io che chiedo a Salvini di prendere pubblicamente posizione sulle dichiarazioni del sindaco del partito di cui lui è segretario. Cosa pensa delle affermazioni di Camiciottoli che investono non solo la mia dimensione privata ma la condizione di tutte le persone, in particolare le donne, che subiscono insulti, minacce e volgarità di ogni genere?».

Ora il sindaco leghista ha perso ovviamente la grinta machista e violenta: «Non intendevo incitare allo stupro di Laura Boldrini – si è giustificato ieri in aula Camiciottoli – Intendevo dire che se le mandavamo gli immigrati a casa era contenta, dato che li vuole tutti in Italia. Avrei scritto la stessa frase per un uomo». Poi naturalmente ha incolpato i media addossando loro la responsabilità di aver dato «una immagine sbagliata della mia persona».

«La cosa più sconcertante – ha aggiunto Boldrini – è che un messaggio così violento sia stato lanciato da un sindaco. Non si può far passare il messaggio che uno stupro possa far sorridere, e non si può arrivare ad augurare lo stupro ad un’avversaria politica. L’ho visto solo in contesti di guerra. Questa è deriva politica – ha sottolineato l’esponente di Leu -: diciamo ai ragazzi che se non sono d’accordo con una loro coetanea la possono stuprare».

Nel dibattimento, che si aprirà il 15 gennaio, il giudice ha ammesso sei parti civili (oltre a Boldrini, le associazioni Udi, Differenza Donna, Se non ora quando, Donne in rete e Centro per non subire violenza) e ne ha esclusa una (Aps Rebel Network).