È passato quasi un anno esatto dallo scoppio della bomba giudiziaria che ha travolto Roma e anche il suo sindaco, rivelando che il tasso di corruzione nella Capitale era ormai a livello orgia. Stamattina inizia un processo che ha già tutte le caratteristiche dello show: 78 cronisti, 18 direttori di testata, 80 accrediti per fotografi e telecamere spedite dalle tv di mezzo mondo, 46 imputati, tutti eccellenti vuoi nel «mondo di sopra», quello della politica e dell’amministrazione della città, vuoi in quello «di mezzo» come da poetica definizione di Carminati Massimo, l’imputato numero 1: il mondo dove politica, affari e malaffare si davano ben più che una mano.

Oggi in aula ce ne saranno 22, gli altri sono in via di traduzione dalle carceri sparse nella penisola. Tre imputati, i principali, invece non ci saranno: Carminati, il presunto boss, Salvatore Buzzi, l’uomo d’oro della cooperativa di platino 29 giugno, quella che più di ogni altra faceva il pieno di appalti, Riccardo Brugia, uomo di mano di Carminati e Fabrizio Testa, manager assai vicino all’ex sindaco Alemanno, dovranno assistere alle udienze in videoconferenza dalle carceri in cui dimorano, in regime di art. 41 bis. Le motivazioni del divieto sfuggono: Carminati si sa è temibile, ma che riesca a ammutolire i testimoni con un’occhiataccia pare un po’ troppo persino per lui.

Il Comune di Roma sarà parte civile, anche se a firmare l’atto di costituzione non è stato, come nei suoi sogni, l’ormai ex sindaco Marino ma il prefetto Tronca. Fatta salva la sostituzione del malcapitato primo cittadino con il commissario, la costituzione del Comune era ampiamente prevista, come un po’ tutto in questo maxi-processo che ha tutto di spettacolare. Il punto interrogativo dovrebbe riguardare non le condanne, che almeno per gli imputati principali appaiono a dir poco probabilissime, ma la convalida o meno del capo d’accusa: associazione mafiosa, fattispecie mai contestata prima per storie o storiacce di corruttela e sul quale è lecito avanzare dubbi.

Ma anche qui, in fondo, la suspence è limitata. Quando la Cassazione, nella scorsa primavera, ha respinto i ricorsi degli imputati finiti nel carcere duro come presunti mafiosi, ha accreditato come più non poteva la tesi della procura di Roma. Due giorni fa, poi, si sono svolti i processi a carico dei quattro imputati che avevano scelto il rito abbreviato. Tutti conclusi con condanne a 4 anni tranne che per Emilio Gammuto: il gup Anna Criscuolo ha riconosciuto a suo carico l’aggravante del metodo mafioso e la condanna è lievitata sino a 5 anni e 4 mesi. Il nodo determinante della mafiosità o meno dei corrotti e corruttori capitolini verrà probabilmente sciolto solo dal terzo grado di giudizio, in Cassazione.

Le risposte attese da questo maxi processo di fronte alla X sezione penale romana non riguardano però solo la sentenza, e attengono alla mafiosità del «mondo di mezzo» non solo per pur non trascurabili questioni di garantismo, ma anche per la necessità di far luce su una vicenda che, nonostante due ordinanze di rinvio a giudizio che contano migliaia di pagine e una mole di atti che riempirebbe una biblioteca, è per molti versi ancora oscura. Per esempio: quando parte e quando decolla il sistema di corruzione scoperchiato meritoriamente dal procuratore Pignatone? La cooperativa 29 giugno, formata da ex detenuti e ufficialmente in quota centrosinistra, mentre la sua controparte bianca era la cattolicissima Cascina, negli anni dell’amministrazione Rutelli si aggirava su un fatturato normale, di circa 600mila euro. Negli anni della giunta Veltroni passa a qualcosa come 7 milioni di euro, ed è difficile pensare che fino all’arrivo di Carminati tutto fosse limpido. Senza Carminati, però, parlare di mafia è impossibile, essendo la sua nefasta presenza la pietra angolare dell’accusa più grave.

Lo stesso Carminati, quando entra in ballo e per mano di chi? Nelle intenzioni della giunta Alemanno la cooperativa rossa doveva essere spazzata via. Fatti non parole: il tentativo era in atto quando dai piani alti del Campidoglio partì il contrordine e alla guerra subentrò il reciprocamente proficuo sodalizio. E’ solo a partire da quel momento che Carminati diventa l’ombra di Buzzi, secondo cui l’ingresso in società del bandito si deve al fortuito incontro tra due ex compagni di detenzione. Possibile: se si crede alle favole.