Ci ha pensato Samir Geagea, capo delle Forze libanesi, partito di destra estrema, a chiarire una volta e per tutte che dietro i colloqui con Israele sui confini marittimi e i giacimenti di gas cominciati ieri alla sede dell’Unifil a Capo Naqura, non c’è alcuna intenzione di arrivare a un trattato di pace con Israele come sperano il governo Netanyahu e l’Amministrazione Trump. «Non vogliamo la normalizzazione con Israele perché chiediamo una soluzione alla questione dei palestinesi (in Libano, ndr) prima di ogni altra cosa e nessuno può aggirare questo tema», ha detto perentorio. Geagea in realtà la pace con Israele lui la firmerebbe anche domani. La destra libanese ha legami storici con Israele, ha collaborato con Tel Aviv durante l’invasione del Libano nel 1982. Ma nel paese dei cedri i partiti politici che sono divisi su tutto, camminano mano nella mano su di un punto, dalle Forze libanesi al movimento sciita Hezbollah: i 450mila profughi palestinesi in Libano dal 1948 dovranno tornare nella loro terra da cui scapparono o furono cacciati e Israele deve aprire le sue porte. E lo dicono, con poche eccezioni, non per amore del diritto internazionale ma perché proprio non li vogliono i profughi palestinesi, così come quelli siriani. Quindi l’accordo tra Libano e Israele resta solo una vaga ipotesi.

 

 

Ras Naqura (foto Michele Giorgio)

Non sorprende perciò che i colloqui nella base 1-32A dell’Unifil si siamo svolti ieri in un clima formale e freddo. E che durante la pausa per il caffè le delegazioni dei due paesi non abbiamo avuto alcun contatto. Martedì il presidente libanese Michel Aoun aveva ribadito che Israele e Beirut stanno solo discutendo di confini e gas. A Naqura, il governo dimissionario di Hassan Diab perciò ha inviato una delegazione tecnica, composta solo da militari ed esperti di energia. E nonostante ciò non ha soddisfatto tutti i libanesi. Hezbollah e l’altro partito sciita Amal nella delegazione volevano solo militari. Israele e gli Stati uniti che fanno da mediatori, invece provano a dare un significato anche politico all’incontro in cui dicono di intravedere segnali di apertura e la volontà, di una parte delle formazioni politiche libanesi, di seguire il percorso fatto di recente da Emirati e Bahrain.

 

Ciò che conta in questo negoziato tra nemici è solo l’interesse economico comune. In 860 kmq di acque contese si trovano (pare) ricchi giacimenti di gas naturale che, se ben sfruttati, potrebbero portare nelle casse dei due paesi diversi miliardi di dollari. Proprio per questo Hezbollah, alleato di Siria e Iran e che contro Israele ha combattuto per tutta la sua esistenza, non ha posto il veto all’avvio di colloqui destinati inevitabilmente a generare speculazioni di ogni sorta. Il Libano è sommerso dai debiti e vive una crisi economica e finanziaria molto grave che ha provocato l’impoverimento di buona parte della popolazione. Quei miliardi di dollari non sono la soluzione di tutti i suoi immensi problemi ma certo possono dare una mano al paese. Le due delegazioni torneranno ad incontrarsi il 28 ottobre.