Sono 7 mila (su circa 115 mila) gli iscritti al Movimento 5 Stelle tramite Rousseau che stanno migrando su un’altra piattaforma per seguire in videoconferenza la prima tornata di assemblee provinciali prevista fino a domenica. Da questi incontri, causa Covid solo virtuali, verranno scelti i 300 delegati che parteciperanno all’evento nazionale del 14 e 15 novembre prossimi.

In zona Cesarini, poche ore prima che debuttasse il sito web degli Sati generali, è stato cambiato il regolamento sull’elezione dei rappresentanti territoriali. La modifica, spiega il capo politico Vito Crimi, serve «a favorire la massima rappresentatività di tutte le sensibilità». Nel regolamento diffuso una settimana fa, era previsto che ogni partecipante non aveva limitazioni sulle preferenze dei rappresentanti agli Stati generali. Ciò avrebbe potuto favorire cordate e veti incrociati, a conferma del fatto che anche sui territori gli Stati generali sono divenuti contesa tra gruppi organizzati. La nuova norma prevede che «ogni partecipante potrà esprimere un numero di preferenze fino a un terzo, arrotondato all’unità più prossima, del numero di rappresentanti da eleggere della propria componente di riferimento».

A proposito di documenti e scontri interni, ieri sono state diffuse alcune dichiarazioni rilasciate da Alessandro Di Batista a Bruno Vespa per il suo prossimo libro. Assicura che non farà alcuna scissione ma minaccia di farsi da parte se alle prossime elezioni il M5S non dovesse presentarsi da solo. A riscaldare il clima contribuisce il documento attraverso il quale alcuni eletti (nove in tutto, tra parlamentari, deputati europei, consiglieri regionali e comunali) esprimono sostegno alla mozione presentata da Di Battista. Non sono in molti, è abbastanza noto che l’ex deputato non goda di molta fama tra gli eletti: al suo fianco ci sono l’ex ministra Barbara Lezzi, gli europarlamentari Ignazio Corrao e Piernicola Pedicini e pochi altri.

Le assemblee propedeutiche agli Stati generali serviranno a misurare i suoi consensi tra la base. Quelli che si schierano con lui attaccano l’idea di un’alleanza col Pd. «Lo sconcerto che ha prodotto in noi l’ipotesi ventilata da alcuni di legare il M5S strutturalmente a un partito di establishment come il Pd, ci ha spinto ad assumere una posizione pubblica, pur senza mettere in discussione il sostegno al governo», scrivono.

«L’impegno politico che abbiamo assunto di fronte ai nostri elettori il 4 marzo 2018 – proseguono – era su temi che per lo più andavano a contrapporsi alle misure introdotte dal Pd nella precedente legislatura e questo accordo di governo già limita fortemente il raggiungimento di quegli obiettivi politici». Da qui deriverebbe la crisi di consensi dei 5 Stelle e anche la spinta, che viene da molti parlamentari, a dotarsi di una struttura tradizionale. «Legarsi strutturalmente a un partito di establishment significa, inutile negarlo, doverne adottare le metodologie (poltrone e non temi), conformarvi gli intenti e soprattutto, cosa ancora più grave, mandare agli 11 milioni di elettori che ci hanno dato fiducia il 4 marzo 2018 il messaggio devastante che nessun cambiamento in Italia è possibile, perché anche chi era nato per opporsi alla “casta”, diventato anch’egli casta, ritiene che ciò che fino a ieri era il male peggiore, oggi sia il miglior partito possibile».

Da qui la proposta sull’altro nodo, l’organizzazione interna: «Non è necessaria una metamorfosi che alteri il Dna del Movimento 5 Stelle, bastano semplici piccoli correttivi all’organizzazione che già esiste, per dare una svolta significativa ai risultati elettorali sui territori, basta tenere distinta la governance del M5S da chi riveste ruoli di governo, basta rimanere sui principi originari per riaccendere la passione e l’interesse degli attivisti».