Il vertice dei G8 di Lough Eme si chiude con il premier britannico David Cameron che, da buon padrone di casa, difende i risultati raggiunti, principalmente sul fronte del commercio e della tassazione a livello internazionale. Ci sarà più trasparenza e cooperazione tra paesi nello scambio di informazioni, forse sapremo un po’ meglio chi possiede veramente imprese e fondi offshore soprattutto nel mondo anglosassone e le multinazionali dovranno ricorrere ad avvocati più abili nello spostare i profitti verso i paradisi fiscali. In realtà la diplomazia di Londra deve accusare il colpo per il magro “bottino” raccolto rispetto ai propri piani ambiziosi, in base ai quali aveva sollevato una serie di questioni nevralgiche nella due giorni in Irlanda del Nord. Lo strappo politico di Vladimir Putin, che è riuscito a mettere il veto nella dichiarazione finale sulla menzione delle responsabilità di Assad nella crisi siriana, è un segnale chiaro. In qualità di presidente di turno, a settembre la Russia ospiterà a San Pietroburgo il G20, ben più importante e atteso del G8. La vicinanza della Russia al governo di Assad e alla dottrina del non intervento, cara anche ad alcune economie emergenti presenti nel G20, cambierà l’equilibrio di potere al summit dei venti paesi più importanti del pianeta. D’altronde tra Londra e Mosca esistevano forti tensioni già prima dell’organizzazione del G8, se si pensa ai casi diplomatici, alle spie e agli avvelenamenti degli ultimi anni.

Nel mentre tutti i governi già guardano al prossimo Consiglio europeo di fine giugno, che ancora una volta vedrà scontrarsi approcci diversi alla soluzione della crisi economica nell’Unione. La “vecchia” Europa è ancora oggi in recessione ed è la vera zavorra dell’economia globale, come recentemente certificato dalla Banca mondiale. Lo stesso Fmi, dopo aver orchestrato la gogna finanziaria della Grecia e del resto della periferia europea, ha iniziato a prendere le distanze dall’ortodossia di Bruxelles,con tutta evidenza non efficace. Ma l’appuntamento del Consiglio potrebbe risolversi ancora una volta con un nulla di fatto: siamo nel pieno della campagna elettorale tedesca e la cancelliera Angela Merkel internamente non può mollare la linea dura contro la “pigra” periferia europea in crisi e il suo presunto salvataggio anche con i soldi dei contribuenti tedeschi.

La stessa Germania difficilmente cambierà atteggiamento al G20 di settembre, a due settimane dalle elezioni tedesche. Eppure l’assedio a quel punto sarà globale. Gli Usa di Obama rincareranno la dose per chiedere uno smussamento della durezza delle politiche di austerità in Europa, pena un ennesimo rallentamento dell’economia a stelle e strisce che solo adesso inizia a vedere l’uscita dal tunnel della crisi. Gli stessi paesi emergenti si presenteranno più preoccupati, considerato il possibile rallentamento della locomotiva cinese da cui tanti dipendono, nel Nord come nel Sud del mondo.

Visto che oramai in ben pochi pensano che la finanza globale liberalizzata possa essere finalmente regolamentata, l’attenzione si sposterà alle politiche monetarie, dove le tensioni sono già alle stelle. La svolta “espansiva” del governo giapponese, sia sul fronte dello stimolo fiscale che della politica monetaria, ha sollevato dubbi in Europa, negli Usa e nella stessa Asia. Allo stesso tempo i mercati finanziari ricattano la Fed americana su un possibile allentamento dell’espansione della base monetaria, che quest’ultima ha attuato fino a oggi e a vantaggio solo delle solite grandi banche. I paesi emergenti temono che ancora una volta la valanga di liquidità creata sui mercati globali si scaricherà sulle loro economie, con il rischio di produrre inflazione e bolle speculative. Senza parlare dell’alterazione dei tassi di cambio, questione critica per i paesi esportatori latino-americani, Brasile  in primis. Un aumento del costo del denaro a Washington come a Francoforte potrebbe sortire anche risultati non voluti a fronte di un rallentamento della recessione nel 2014.

Di fronte alla possibilità che ognuno continui a andare in ordine sparso con poca voglia di compromesso, la Russia metterà sul tavolo solo quei pochi temi su cui i 20 potranno trovare una qualche intesa. Ossia il finanziamento di nuove mega-infrastrutture, in grado di rilanciare i mercati globali, creare nuove opportunità di investimento finanziario e partnership pubblico-privato, il tutto a beneficio di poche grandi multinazionali, incluse quelle energetiche tanto care al Cremlino. L’Ue sarà ben felice della scelta, visto che la sua ricetta anti-ciclica si è ridotta a tornare a finanziare autostrade con la nuova iniziativa dei project bond europei: altro che economia verde! I paesi Brics ringrazieranno, perché la priorità della loro nuova Banca multilaterale istituita lo scorso marzo durante il loro meeting in Sud Africa sarà proprio il finanziamento delle infrastrutture.

Quindi vecchie e nuove potenze concorderanno: il neoliberismo è in crisi ma il modello di sviluppo non si cambia. Un punto forse su cui anche i movimenti sociali globali concorderanno con un corollario di altro segno: da questa crisi si esce solo mutando il modello di sviluppo, nel Nord come nel Sud del mondo. Peccato che lo zar Putin tollererà poche proteste nelle strade di San Pietroburgo.