La Nato dunque mette i piedi nel subcontinente latinoamericano. La Colombia ha infatti aderito all’Alleanza come «socio globale», uno “status che comparta – unico paese dell’America latina – con Afghanistan, Australia, Iraq e Corea del Sud. Per ufficializzare l’adesione il presidente (uscente dopo due mandati) Juan Manuel Santos si è riunito giovedì a Bruxelles col segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.

All’atto ha partecipato anche il ministro della Difesa colombiano, Luis Carlos Villega, il quale, bontà sua, ha sostenuto che «la Colombia non è animata da intenzioni belliche: non siamo un pericolo per alcun paese della regione». Posizione questa ripetuta anche dalla portavoce della Nato, Oana Lungescu. «La collaborazione con la Nato – iniziata nel 2013 – aiuta le nazioni a costruire una maggiore trasparenza nei conti delle istituzioni militari», ha affermato. Naturalmente, l’adesione alla Nato permette che militari colombiani siano addestrati in Europa, come da alcuni anni avviene in Germania e in Italia.

Dura la reazione del Venezuela, che condivide con la Colombia un confine di 2.200 chilometri e che ha rapporti tesi con Bogotà vista l’ostilità dichiarata del vicino nei confronti del governo del presidente Nicolás Maduro. Santos, infatti, è stato uno dei capofila dei capi di Stato sudamericani del Gruppo di Lima nella decisione di non riconoscere i risultati delle recenti elezioni presidenziali venezuelane vinte dal leader bolivariano. L’adesione alla Nato comporta « un’alleanza militare esterna con capacità nucleare, fatto che costituisce evidentemente una minaccia per la pace e la stabilità della regione», ha commentato una nota del ministero degli Estaeri di Caracas.
Il nuovo status di «socio globale» della Nato, anche se – come sostiene Bogotà – «non prevede il trasferimento in territorio colombiano di truppe o di basi militari» dell’Alleanza, si aggiunge alla presenza nel paese di sette basi militari statunitensi. Dunque, conferisce alla Colombia un ruolo – seppur indiretto – di guardiano dell’ordine neoliberista nel subcontinente, soprattutto nei confronti del “nucleo duro” del fronte bolivariano -Venezuela, Cuba e Bolivia.

Di fronte a questa situazione il neoeletto (19 aprile) presidente cubano Miguel Díaz-Canel ha effettuato mercoledì a Caracas la sua prima vista come capo di Stato per rinsaldare l’alleanza col Venezuela. E per dimostrare che Cuba si schiera in prima linea in difesa della presidenza di Maduro, contestata da Usa, Canada, Ue e dai paesi governati dalla destra latinoamericana. Il presidente cubano ha testimoniato al suo omologo venezuelano «tutto il riconoscimento e le nostre felicitazioni per il gran successo raggiunto nelle elezioni» presidenziali. Come pure ha confermato «l’appoggio incondizionato» di Cuba di fronte alla decisione dell’Amministrazione Trump – ma anche del Canada e dell’Ue – di rendere più dure le sanzioni contro il governo di Maduro.

«Sappiamo che l’obiettivo più urgente delle nostre rivoluzioni… è lo sviluppo economico…la creazione di ricchezza e la soddisfazione delle necessità materiali del nostro popolo» ha affermato Maduro ricevendo il suo ospite a palazzo Miraflores. I due capi di Stato hanno deciso «il consolidamento e il rinnovo» dei programmi e progetti congiunti che includono «l’accordo energetico» – firmato dagli scomparsi ex presidente Chávez e Fidel Castro nel 2000 – che prevede tra l’altro l’esportazione di greggio venezuelano a Cuba a prezzi preferenziali.