Si riparte da un buco nell’acqua. Nel tentativo (non si sa ancora quanto condiviso) di gettare le basi per il Conte tre, i rappresentanti della maggioranza al tavolo del programma hanno ripreso in mano il lavoro fatto a inizio dicembre dai quattro partiti giallorossi. Lavoro sui temi economici, sulle riforme istituzionali e sulla giustizia che però non aveva portato ad altro che a una presa d’atto di posizioni inconciliabili. Tanto che il 3 dicembre scorso il Pd rivolse un pubblico appello a Conte perché si facesse carico delle mediazioni necessarie. Cosa che il presidente del Consiglio non ha fatto e così ieri al tavolone della sala della Lupa la crisi di governo ha preso le forme di quella verifica di governo fin qui mai realizzata. Infatti il presidente della camera ha lasciato immediatamente la stanza, queste non sono più consultazioni.
E non sono neanche le vere manovre per costruire un accordo, quelle si fanno altrove e riguardano la composizione del nuovo governo. L’utilità del tavolo «di merito» è quella di dare il tempo ai leader di partito di negoziare nomi e caselle che, se il governo partirà, daranno il senso della direzione di marcia – conferme e discontinuità – più di qualsiasi programma.

Il «programma di legislatura» non troverà un’immediata forma scritta, non tanto per un formale ossequio all’articolo della Costituzione che vuole che sia il presidente del Consiglio a dirigere la politica generale del governo, visto che abbiamo ormai il precedente del 2018 quando il «contratto» di governo fu persino fatto votare alla «base» di Lega e 5 Stelle diversi giorni prima che Conte ricevesse l’incarico. Il punto è che un documento scritto può arrivare solo dopo che dalla fase dell’esposizione delle reciproche posizioni sui vari temi si passerà a quella delle mediazioni e dei compromessi, ieri ancora non ci si è arrivati e anche per questo il confronto è stato assai meno spigoloso di quanto si poteva temere. Se ci saranno delle firme, visto che Renzi si è spinto molto avanti nell’annunciare che un documento ci sarà, saranno solo in calce a una sorta di verbale dei lavori.

Con queste premesse, la lunga riunione di ieri non ha fatto registrare particolari e insormontabili ostacoli neanche sui due temi fin qui centrali nel determinare la paralisi della maggioranza fino all’apertura della crisi. Per quanto riguarda la legge elettorale, anzi, Italia viva dopo aver ribadito la sua (tardiva) preferenza per il maggioritario ha detto che non si opporrà a un sistema proporzionale a patto che preveda le preferenze. Su questo i 5 Stelle vanno (anche loro tardivamente) a nozze. La soluzione piace meno al Pd e anche a Leu, che però è in grado di proporre soluzioni intermedie. Mentre è ormai scontato che si tratterà al ribasso sulla soglia di sbarramento che attualmente è fissata al 5%.

Il resto del piatto delle riforme istituzionali è molto ricco, probabilmente troppo ricco visto che Pd, Iv e M5S hanno fatto a gara ad aggiungere argomenti: dalla sfiducia costruttiva al superamento del bicameralismo paritario, dal recupero del voto a data certa – una formula che era nella riforma Renzi-Boschi bocciata al referendum – al referendum propositivo, al conflitto di interessi, all’introduzione della tutela ambientale in Costituzione. Proprio la vastità del campo, impossibile anche solo da arare nei due anni che mancano alla fine della legislatura, potrebbe favorire una soluzione che già altre volte nella storia recente è servita a spostare altrove il problema (senza peraltro risolverlo): l’istituzione di una commissione bicamerale per le riforme. Italia viva l’ha proposta ufficialmente richiamando una formula (quella della commissione Bozzi) che tra l’83 e l’84 ebbe bisogno di 14 mesi solo per preparare i testi di partenza. L’idea della commissione non ha suscitato entusiasmi tra i partecipanti al tavolo, ma neanche decise contrarietà. Se si trovasse un modo per partire, potrebbero nel frattempo andare in buca quei correttivi minimi al taglio dei parlamentari che erano già arrivati vicini all’ok definitivo – voto ai 18 per il senato, cambio della base elettorale del senato – prima che Renzi bloccasse tutto. Un problema serio è anche la indispensabile riforma dei regolamenti delle camere, imposta dai nuovi numeri, ma di quello non si parla.

Invece per la giustizia non è tanto la nouvelle vague garantista di Renzi a essere dissonante con la maggioranza, quanto la linea Bonafede a isolare i 5 Stelle dal resto della coalizione. Dunque il problema per il Pd e per Leu non sono tanto le richieste di Iv, su prescrizione e riforma del processo penale, quanto capire fino a che punto ci si può spingere senza provocare l’implosione dei 5 Stelle. Più che accordi scritti che rischierebbero di essere smentiti in un paio di settimane quando si dovrebbero votare gli emendamenti al decreto milleproroghe di Iv, +Europa Cambiamo e Forza Italia sulla prescrizione, la soluzione sulla giustizia è tanto radicale quanto più a portata di mano. Sarà quella di sostituire il ministro guardasigilli. Così sarà, se il Conte tre dovesse riuscire a vedere la luce.