Di tavolo in tavolo è visibile l’arretramento del ministro del lavoro Luigi Di Maio sui ciclofattorini («riders») delle consegne a domicilio via piattaforma digitale («food delivery»). Al secondo tavolo convocato ieri al ministero del lavoro in via Flavia a Roma è andata in scena quella che il vice-premier pentastellato ha chiamato «concertazione»: erano presenti gli autorganizzati Bologna e Roma Union Riders, Deliverance Milano, i colleghi di Torino, i sindacati confederali, le associazioni di impresa (tra l’altro Confindustria), le piattaforme multinazionali e locali. Al termine del confronto Di Maio ha aggiornato il ruolino di marcia di una trattativa dove molto resta da fare, ha fatto notare Susanna Camusso (Cgil).

Nei prossimi 60 giorni, necessari per convertire in legge il «decreto dignità», arriveremo a un bivio: nel caso in cui le parti sociali non trovino un accordo al tavolo Di Maio ipotizza un emendamento sulle tutele minime per i «riders». L’altra strada, definita dal ministro «più avvincente», è una concertazione tra le parti convocate al tavolo e finalizzata alla definizione di un «contratto collettivo nazionale per i riders».

È un cambio di prospettiva rispetto alla «clausola» inserita due settimane fa nel «decreto dignità». Nei primi due articoli era previsto il riconoscimento della subordinazione dei ciclo-fattorini, e non solo, insieme alle tutele per il lavoro digitale: dal lavoro domestico a quello di cura, dal freelancing ai servizi poveri e terziarizzati. Propositi interessanti per lo sforzo di distinguere la natura mutevole del rapporto di lavoro nell’economia delle piattaforme. Avrebbero costituito un’innovazione nel dibatto sulla nuova forza lavoro. Nella prospettiva ribadita ieri non si parla più di estensione della subordinazione, tramite modifica del codice civile, mentre il «contratto nazionale» è limitato ai «riders». La riforma della subordinazione è osteggiata dalle piattaforme – in tutto il mondo – al punto da avere spinto una a minacciare di lasciare l’Italia (Foodora). Avere fatto un passo indietro su questo rischia di non risolvere il problema delle collaborazioni e del finto lavoro autonomo. Agganciare tutele sociali e minimi salariali alla persona, senza chiarire la natura subordinata del rapporto di lavoro può portare a nuovi problemi.

Lo stesso vale per l’altra strada indicata da Di Maio: limitare il «contratto nazionale» ai soli «riders» rischia di normare solo una categoria, mentre l’economia dei lavoretti («gig economy») è trasversale alle categorie e ai rapporti di lavoro. Un simile contratto avrebbe bisogno di una revisione degli altri a cui, eventualmente, afferiscono i lavoratori quando operano su piattaforma. Riconoscere la subordinazione quando si dà materialmente nel rapporto di lavoro – come per i «riders» – e stabilire un nucleo di diritti sociali universali per tutti – dentro e oltre il lavoro digitale e non – è un modo più avanzato per affrontare il dilemma. È probabile che la bozza iniziale del decreto sia stata usata per fare sedere al tavolo le piattaforme. Averla congelata, o rimossa, può portare a un provvedimento inefficace. Una sintesi tra subordinazione e collaborazione per ora non c’è. All’orizzonte si intravede il conflitto tra chi sostiene la subordinazione (è la posizione dei «riders» e dei sindacati) e chi no (piattaforme e associazioni datoriali). E le incertezze del governo non aiutano. È stato scelto il pragmatismo: garantire le tutele ai «riders» e poi capire come estenderle a tutti gli altri. Ma la politica dei due tempi non funziona mai.

«Non solo per noi, ma per tutti» è lo slogan efficace dei «riders». In presidio in via Flavia ieri hanno ribadito la necessità di mantenere un’apertura universalistica, e non corporativa, al percorso del tavolo che sarà riconvocato nei prossimi giorni.