Si avvicina la forca per la guida suprema, il murshid, dei Fratelli musulmani. Mohamed Badie e altri 13 politici del movimento hanno visto ieri confermata la condanna a morte per terrorismo in riferimento alle contestazioni dopo il golpe militare del 2013 che ha deposto l’ex presidente Mohamed Morsi. La lettura della condanna è stata trasmessa dalla televisione pubblica. Neppure il gran muftì della moschea di al-Azhar si è mostrato clemente ed ha confermato la condanna a morte degli imputati.

Lo scorso anno, le Corti penali di Minya e Giza avevano già condannato a morte centinaia di esponenti della Fratellanza dopo gli incidenti che hanno attraversato i due governatorati in seguito al massacro di Rabaa al-Adaweya, del 14 agosto 2013. Molte delle condanne sono state commutate in ergastoli dalle Corti di appello. Ieri sono fioccate anche decine di condanne al carcere a vita.
Sono 37 gli esponenti del movimento condannati all’ergastolo: tra loro uno dei simboli della Fratellanza, Mohamed Soltan. Il giovane, egiziano-americano, figlio del predicatore Salah Soltan, è in fin di vita perché da oltre un anno in sciopero della fame. Con lui è stato condannato all’ergastolo anche Jihad al-Haddad. Il portavoce del movimento, più volte intervistato dal manifesto, ci aveva raccontato giorno per giorno l’occupazione di Rabaa al-Adaweya, l’arresto di Morsi e gli assalti armati della polizia ai sit-in pacifici della Fratellanza.

In reazione alle condanne, il movimento islamista moderato parla da mesi di «giustizia politicizzata», ma niente sembra placare la mano vendicativa dei giudici egiziani. I magistrati vogliono far scontare fino all’ultima goccia di sangue ai Fratelli musulmani il loro anno al potere tra il 2012 e il 2013, quando hanno tentato di ripulire il sistema giudiziario rimuovendo parte dei magistrati che negli anni precedenti li avevano costretti agli arresti per la loro attività di opposizione politica.

La condanna a morte potrebbe toccare anche all’ex presidenteMorsi, in carcere con l’accusa di spionaggio. Il presidente turco, Erdogan ne aveva richiesto la scarcerazione lo scorso giovedì, definendolo il «legittimo presidente, eletto con il 52% dei voti», per ristabilire le relazioni tra Egitto e Turchia, congelate dopo il golpe militare. Morsi si trova agli arresti in un luogo segreto da quasi due anni, alcune intercettazioni ambientali lo scorso autunno avevano rivelato che non è mai stato comunicato l’esatto luogo di detenzione dell’ex presidente da parte dei militari egiziani e questo in completa violazione della legge. La Fratellanza ha subito la più dura repressione della sua storia negli ultimi due anni con la chiusura delle principali scuole, ospedali e opere caritatevoli del movimento. Sono forse oltre 18 mila i sostenitori della confraternita in prigione, centinaia sono spariti nel nulla o vittime di torture in carcere. Per il momento nessuno spiraglio di inclusione politica sembra possibile, dopo la cancellazione delle elezioni parlamentari, previste per marzo. Ormai il presidente Abdel Fattah al-Sisi sembra concentrato su ben altro.

È pronta l’armata Riad-Cairo-Islamabad per l’invio di truppe di terra in Yemen. E così al-Sisi ha avuto un lungo incontro sullo Yemen con il Consiglio supremo delle Forze armate. Sarebbe quindi pronto il decreto presidenziale che autorizza l’invio di truppe. Il ministro della Difesa, Sedki Sobhi, si è recato in Pakistan proprio per negoziare la composizione della missione di guerra.

Come se non bastasse, per tenersi calmi i ricchi affaristi egiziani e per rinverdire le magre riserve di valuta estera, al-Sisi ha pronta la prima asta di bond islamici, sokuk, della storia egiziana. Il tentativo era fallito a Morsi che aveva spinto per l’approvazione di una legge sulla finanza islamica prima di essere deposto. Eppure, le attività finanziarie shariatiche, in accordo con la legge islamica, non sono certo diminuite negli ultimi due anni. «L’Egitto non ha mai avuto leggi che regolamentassero la finanza islamica e tutto è rimasto invariato con l’ascesa al potere di al-Sisi che ora fa leva sulle stesse iniziative che avevano proposto gli islamisti», conferma il docente dell’Università di Roma Tor Vergata, Valentino Cattelan.