La scorsa primavera è stato sventato un secondo golpe in Egitto dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013. Una corte militare ha condannato 26 ufficiali dell’esercito egiziano con l’accusa di voler rovesciare il presidente al-Sisi. Gli ufficiali erano spariti lo scorso maggio e solo ora è stata diffusa la notizia della loro condanna.

Tra i capi di imputazione l’intenzione di formare cellule dei Fratelli musulmani all’interno dell’esercito. Quattro dei colonnelli arrestati erano orami in pensione. Le divisioni all’interno della giunta militare egiziana non devono essere esagerate ma neppure taciute.

Esistono anche scontri politici nell’elite militare in merito alla gestione corrente e ad un più o meno marcato impegno in politica, a favore degli islamisti, di altri partiti o di alti ufficiali. La stessa ascesa del presidente Abdel Fattah al-Sisi sarà forse ricordata come un golpe all’interno dell’esercito. Il presidente venne sì nominato dall’ex presidente Morsi ma poi fu il primo a volerne la destituzione e a imporre la durissima repressione degli islamisti.

La rivalità con al-Sisi delle alte uniformi emerse anche alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2014, quando Sami Annan mostrò l’intenzione di volersi candidare e subì, a detta del suo entourage, un attentato che lo allontanò dalla scena politica. Altri golpe hanno avuto luogo per l’ascesa alle alte cariche del ministero dell’Interno con la destituzione del possibile responsabile di Rabaa al-Adaweya, Mohamed Ibrahim, e con l’ascesa del nuovo ministro della giustizia. In quei giorni di maggio quando i generali sono stati arrestati si sarebbero potute svolgere le elezioni parlamentari poi cancellate. E proprio sul voto ora si gioca il tutto per tutto.

Nel caso le parlamentari non dovessero svolgersi neppure questo autunno come fa pensare l’accelerazione di al-Sisi sulla legge elettorale vorrà dire che tutto è possibile e le sorti del nuovo presidente sono ormai segnate. Ma i generali vicini all’uomo che ama rappresentarsi come il nuovo Nasser sono pronti a tutto per difendere il loro leader imponendo una delle leggi più dure mai approvate in Egitto.

La legge anti-terrorismo è entrata in vigore la scorsa domenica. Più grave della legge di emergenza di Mubarak, prevede corti speciali per chiunque venga accusato di terrorismo, protezione legale per polizia e militari, la pena di morte per chi guida organizzazioni terroristiche e finanzia i jihadisti, processi per direttissima. La norma è stata approvata in seguito all’attentato contro il procuratore generale Hisham Barakat, responsabile delle condanne a morte contro gli islamiti (che a questo punto potrebbero essere eseguite da un momento all’altro), e all’inasprimento del conflitto nel Sinai.

La norma anti-terrorismo prevede misure rafforzate contro la stampa critica. I giornalisti potranno essere multati fino a 50 mila euro se danno conto di numeri e informazioni diverse da quelle stabilite dal regime. Ormai i giornalisti critici sono tutti o espulsi o in prigione. Anche il Segretario di Stato John Kerry ha chiesto la liberazione di 18 reporter nella sua visita al Cairo senza successo. Una fact-checking Commission è stata istituita per controllare il lavoro dei reporter stranieri. Se le informazioni dovessero contrastare con i media ufficiali, i giornalisti saranno espulsi.

Ma non ci sono solo notizie negative in vista del possibile voto. Il leader moderato del partito Wasat, Abu el-Ela Madi è stato rilasciato dopo 2 anni in prigione con l’accusa di aver incitato le proteste anti-golpe del 2013. Insieme all’ex esponente della Fratellanza, Moneim Abul Fotuh, Madi ha lasciato il movimento da anni puntando sulla formazione di un partito politico laico e distinto dalla confraternita.