Abdel Fattah el Sisi lo scorso novembre fu il primo capo di uno Stato arabo a felicitarsi al telefono con Donald Trump per la sua elezione a presidente americano. Una telefonata per certi versi liberatoria, per manifestare la soddisfazione del regime egiziano, figlio del colpo di stato del 2013 contro gli islamisti, per la fine della presidenza di Barack Obama che aveva allacciato relazioni con i Fratelli musulmani e per la vittoria del tycoon che proclama di voler combattere senza soste «il terrorismo islamico». Ieri el Sisi è arrivato a Washington per sancire una nuova stretta alleanza tra l’Egitto e gli Stati Uniti. Lo scorso gennaio la Casa Bianca ha confermato l’impegno a mantenere gli aiuti militari ed economici all’Egitto (oltre due miliardi di dollari all’anno) previsti dagli accordi di Camp David del 1979. È la prima visita ufficiale di un presidente egiziano alla Casa Bianca dal 2010, quando Hosni Mubarak incontrò Obama a margine di un’Assemblea generale dell’Onu.

El Sisi a Washington ci rimarrà per cinque giorni. L’incontro con Trump è previsto domani. Oggi invece vedrà il capo della Banca Mondiale Jim Yong Kim, il Segretario di stato Rex Tillerson e il ministro della difesa James Mattis. Il presidente egiziano dovrebbe inoltre partecipare a una tavola rotonda con i capi di grandi imprese americane che stanno investendo in Egitto o che hanno annunciato di volerlo fare. Il regime di el Sisi fa i conti con un devastante crisi economica in Egitto – sfociata di recente in proteste popolari – ed è alla disperata ricerca di aiuti internazionali. Sino ad oggi il mondo arabo ha risposto solo in parte agli appelli egiziani. Peraltro i rapporti con l’Arabia saudita, che aveva promesso investimenti in Egitto per oltre venti miliardi di dollari e forniture di greggio a basso costo, si sono fatti tesi da quando il Cairo ha assunto una linea più morbida nei confronti di Bashar Assad, nemico di Riyadh. Linea condivisa dalla nuova Amministrazione Usa che ha fatto sapere di non considerare più una priorità la rimozione dal potere del presidente siriano.

El Sisi cercherà di presentarsi al colloquio con Trump come l’alleato più affidabile degli Usa nel mondo arabo e di fare uno sgambetto ai “fratelli” sauditi. Con il presidente americano discuterà di temi come la lotta all’Isis e più in generale all’Islamismo – la nuova Amministrazione avrebbe l’intenzione di proclamare i Fratelli musulmani un “gruppo terroristico” – le guerre e le crisi in Siria, Iraq, Libia e Yemen, nonchè della stabilità economica nella regione mediorientale. I due dovrebbero prendere in esame anche la questione palestinese, come lo stesso el Sisi ha annunciato durante un recente incontro con il presidente dell’Anp Abu Mazen. Sul tavolo ci sarà anche l’iniziativa araba, approvata al summit arabo del 2002 e rilanciata nei giorni scorsi al vertice in Giordania, che offre a Israele il riconoscimento e trattati di pace con tutti i Paesi della regione in cambio del suo ritiro dai territori palestinesi e arabi che ha occupato nel 1967. Trump avrebbe in mente la convocazione di un incontro regionale in Medio oriente, per fare sedere intorno a un tavolo di trattative Israele e Paesi arabi.