Panem et circenses è una formula che in Egitto non ha troppa fortuna. Il pane non c’è e i giochi non occultano le ultime mosse del regime per sopravvivere a se stesso. Martedì Mohammed Salah, il più amato d’Egitto, ha vinto per la seconda volta il premio per miglior giocatore africano dell’anno. L’ha dedicato al suo paese, lo stesso che – sempre martedì – si è aggiudicato l’organizzazione dell’edizione 2019 della Coppa d’Africa, strappandola al Camerun.

Il Cairo festeggia sperando di far dimenticare la figuraccia del presidente al-Sisi alla Cbs dove, visibilmente in imbarazzo, la faccia lucida per il sudore, descriveva il massacro di Rabaa del 2013 come un’operazione umanitaria delle sue forze armate e fingeva di non avere 60mila prigionieri politici nelle sue carceri.

Ieri, uno di loro, Ahmed Doma, noto blogger, attivista già sotto Mubarak, si è visto infliggere una pena di 15 anni di carcere e una multa di 290mila euro per la rivolta del 2011. Era stato condannato nel 2015 a 25 annicon altri 229 imputati, ma l’Alta corte aveva annullato la sentenza. Ora rispunta.

Il suo reato, per la magistratura rimaneggiata dal golpe e trasformata in un suo braccio armato, è la partecipazione a scontri nel dicembre 2011, possesso di molotov, l’aggressione ad agenti e assalto a edifici pubblici. La protesta era esplosa dopo la decisione di nominare primo ministro Kamal al-Ganzouri, già premier sotto Mubarak. Ne seguirono scontri che portarono all’uccisione di almeno 18 persone.

C’è chi non si arrende alla narrazione tossica di Stato. Doma e i tanti in prigione, ma anche i tanti che sono fuori: sono già quasi mille i firmatari di una petizione che condanna l’emendamento alla costituzione necessario a estendere il secondo e ultimo mandato di al-Sisi. A scorrere la lista ci si imbatte in nomi noti (lo scrittore Alaa al-Aswany, il difensore dei diritti umani Gamal Eid, l’ex rettore della Cairo University Gabel Nasser) ma non solo. Ci sono professori, sindacalisti, giornalisti, geologi, scrittori, ci sono ragionieri e un suonatore di oud. E tantissimi che si firmano, semplicemente, «cittadino egiziano».

Nel mirino la modifica dell’articolo 140 della carta costituzionale con cui il governo intende allungare retroattivamente il limite dei due mandati da quattro anni a sei l’uno: al-Sisi resterebbe fino al 2026. Il 20 gennaio una corte del Cairo dovrà decidere sulla mozione di un avvocato vicino all’esecutivo che chiede al parlamento di riunirsi per la modifica costituzionale che, nei piani del Cairo, dovrebbe realizzarsi entro marzo.

Per i firmatari, e i tanti egiziani invisibili ma presenti, «un tentativo assurdo di perpetrare il regime di al-Sisi», «un grave crimine che minerà l’ultimo risultato della rivoluzione del gennaio 2011». Quella per cui, ancora oggi, il regime sbatte in prigione i suoi fautori.