I risultati del referendum di domenica passeranno alla storia per quantità di elettori che hanno votato, qualità e caratteristiche del voto espresso, conseguenze che avranno sul panorama politico e sul futuro del paese. Il paesaggio politico italiano ne esce scosso, come avviene con le prime avvisaglie di un terremoto. Le forze politiche e sociali che ne sono state protagoniste sono chiamate tutte a non trascurare i segnali di un sommovimento sociale che cova.

Questa premessa lapidaria nasce da tre constatazioni: l’altissima partecipazione al voto rispetto ai precedenti referendum, la non coincidenza tra Si e No e voti agli schieramenti che li hanno sostenuti, l’intreccio, nella scelta tra Si e No, di motivazioni specifiche di merito e motivazioni generali di ordine politico e sociale.
In sostanza in questo referendum tante e diverse motivazioni si sono fuse in un mix che ha spinto non solo a votare, ma a farlo in autonomia rispetto al partito di appartenenza e prendendo in considerazione anche fattori che andavano oltre i temi costituzionali. E’ come se ogni voto fosse la risultante di componenti diverse che in ciascun elettore hanno influito in misura diversa, con un solo fattore comune a tutti: la voglia di partecipare, di far sentire la propria voce, di esprimere la propria rabbia o la propria speranza.

Solo così si può spiegare il fatto che in una fase di disaffezione alla politica e di costante crescita dell’astensionismo si sia registrata una partecipazione straordinaria ed il fatto che, entrando in campo fasce di elettorato prima indeciso o orientato all’astensione, la distanza tra i Si ed i No sia stata così clamorosa ed inattesa al punto che anche se tutta la sinistra Pd ed anche oltre avesse votato Si, il No avrebbe prevalso ugualmente.

Naturalmente le appartenenze pesano ancora ed analizzando i voti a livello regionale rimane una certa correlazione tra voti al Pd e Si al referendum, ma con fenomeni di trasmigrazione non indifferenti: il 20% di elettori che non ha votato Si riduce al 28% il peso specifico del Pd che solo con ingressi spuri e provvisori arriva al 40% dei Si (6% da centro destra, 3% dal M5S, 3% dagli astenuti).

Quindi una cosa è chiara: sta montando una ebollizione sociale che comincia a scuotere le appartenenze e la loro solidità. Elettori di sinistra e di destra hanno votato per campi avversi ed elettori prima distaccati hanno votato e spesso contro.

Chi ha vinto allora? Potrà sembrare demagogico, ma penso seriamente che, in realtà, abbia vinto solo la Costituzione, nella prima e nella seconda parte. Nella seconda parte perché evidentemente l’assetto istituzionale attuale, sebbene da modificare, è stato ritenuto migliore di quello proposto ed avendo garantito settanta anni di democrazia si è scelto che era meglio non correre rischi. Nella prima parte perché i valori del lavoro, dei diritti, dell’uguaglianza hanno pesato e la loro mancata realizzazione, con il disagio sociale che comporta, è apparsa più importante delle regole di funzionamento.

Sul peso e su questo nuovo protagonismo del disagio sociale dobbiamo adesso riflettere. La relazione tra disagio e No è stata ben descritta da Linda Laura Sabbadini in un articolo sulla Stampa. Il No ha vinto laddove più forte è il disagio ed in particolare al Sud. Invece della mobilità sociale che dovrebbe far transitare dal basso verso l’alto, stiamo assistendo ad una trasmigrazione generazionale del disagio dai giovani agli adulti genitori. Colpiti anche essi da disoccupazione, redditi bassi, servizi sociali decrescenti, essi vivono una doppia angoscia per sé e per i figli.

Cova, quindi, una rivolta che in queste elezioni si è espressa democraticamente approfittando dell’occasione data dal referendum. Ma attenzione a quali risposte si danno. Attenzione a non offendere la dignità di queste fasce sociali. Promesse di ponti, offerte di fritture, invasione televisiva e pubblicità invadente non solo non portano più consensi, ma producono l’effetto contrario: offendono l’intelligenza e la sensibilità delle persone.

Gli italiani, forse, sono migliori della classe politica che li governa. Allora cambiare, cambiare, cambiare si. Ma cambiare la politica ed anche la sinistra. Non dovrebbe più accadere che parole come cambiamento, riforma, migliore funzionamento dello Stato siano impugnate come clava da chi governa, come se fosse all’opposizione mentre governa riportando indietro il paese e l’opposizione appare come conservatrice.

Cambiare allora significa leggere il messaggio nell’urna che soprattutto i giovani ci hanno spedito, creare anche a partire dai Comitati per il No sedi e punti di incontro, di azione, di iniziativa, far crescere insieme azioni di opposizione ed una nuova classe politica di opposizione propositiva, una nuova cultura di opposizione per porre i problemi e di governo a tutti i livelli per affrontarli e risolverli.

Questo è l’unica strada che abbiano davanti perché il disagio non vada in cerca di altri sbocchi.

Ed allora attuare i principi della Costituzione che abbiamo salvato dovrebbe essere la priorità per la sinistra che ci aggiungiamo a riproporre ed App…licare la costituzione la app. da caricare sui nostri smartphone per farne la guida delle nostre azioni quotidiane.