«Non ci sarà una nuova Intifada a causa di Trump», proclamava ieri un giornalista europeo in Via Dolorosa, nel cuore della città vecchia. «Lo escludo» aggiungeva un altro. «I palestinesi non hanno voglia di una nuova rivolta» interveniva un altro ancora. L’arrivo in corteo da Bab Qattanin di almeno trecento palestinesi, usciti dalla Spianata di al Aqsa urlando slogan contro Donald Trump, Israele e gli Accordi di Oslo, ha messo fine a questa gara di presunta competenza tra giornalisti stranieri che pensano di aver capito tutto di questa terra e dei suoi abitanti.

«AL QUDS (GERUSALEMME) è araba, Al Quds è araba» scandivano, uomini e donne, vecchi e giovani, mentre avanzavano verso le decine di poliziotti israeliani in assetto antisommossa che li attendevano all’altezza dell’Ospizio Austriaco. Spintoni, grida, imprecazioni. Poi dal corteo è partita una sedia di plastica ed è scattata, pesante, la carica della polizia. Immediati due-tre arresti. Il corteo è arretrato mentre il proprietario della rosticceria Basti osservava sgomento la sua vetrina andata in frantumi sotto l’urto violento degli agenti di polizia e della folla in fuga.

Scontri e tafferugli sono andati avanti per ore anche sul piazzale davanti alla Porta di Damasco, l’ingresso principale della città vecchia di Gerusalemme, nella adiacente Musrara e in via Nablus. La polizia, aiutata dai mistaaravim (agenti “travestiti” da arabi), ha effettuato arresti «mirati» tra i giovani che osavano gridargli in faccia la loro rabbia. Alla fine di una giornata di tensione a Gerusalemme est si sono registrati alcuni feriti leggeri e diversi arresti. Più alto il bilancio nel resto dei Territori occupati. Centinaia di giovani palestinesi con il volto coperto dalla kufiah hanno affrontato soldati e guardie di frontiera al valico di Qalandiya, a Betlemme, Hebron, alla periferia di Ramallah in tante altre città e località della Cisgiordania.

 

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Lungo la zona di demarcazione tra Israele e Gaza, ieri (foto di Mohammed Salem/Reuters)

 

GLI INCIDENTI PIÙ GRAVI ancora una volta si sono avuti a Gaza, lungo le linee di demarcazione con Israele. Un trentenne, Mahmoud al Masri, è stato ucciso da un colpo sparato dalle torrette israeliane contro un gruppo di manifestanti che si era radunato all’altezza di Khan Yunis. Per lui la morte è stata istantanea. Si è parlato anche di una seconda vittima palestinese ma ieri sera non c’era ancora la conferma. Alla fine della giornata il ministero palestinese della sanità ha parlato di circa 200 feriti (la tv al Jazeera dava un bilancio più alto), molti dei quali intossicati dai gas lacrimogeni. I media israeliani davano cifre più basse – e riferivano di alcuni poliziotti rimasti contusi – ma comunque confermavano decine di feriti palestinesi.

IN SERATA SONO STATI LANCIATI alcuni razzi da Gaza verso la cittadina israeliana di Sderot. Almeno uno di essi è stato intercettato dal sistema di difesa Iron Dome. Gli altri due sono caduti senza fare danni. Alcune ore dopo l’aviazione israeliana ha bombardato Gaza facendo almeno 10 feriti.

Ieri non sarà stato l’inizio della terza Intifada palestinese al quale si era appellato giovedì il leader del movimento islamico Hamas, Ismail Haniyeh, e non si sono visti nelle strade i numeri alti di manifestanti che si attendevano. Ma nessuno può escludere che la dichiarazione di Trump possa innescare poco alla volta una ampia sollevazione palestinese. Dipenderà anche dal livello di repressione delle proteste che attuerà Israele.

«CHIUNQUE sposti la sua ambasciata a Gerusalemme occupata diventerà un nemico dei palestinesi e un obiettivo delle fazioni palestinesi. Dichiariamo l’Intifada fino alla liberazione di Gerusalemme», ha ribadito ieri Fathy Hammad, un leader di Hamas. E anche l’Anp del presidente Abu Mazen lascia sfogare le proteste. «Ai vertici palestinesi e intorno ad Abu Mazen regna una spaccatura profonda» ci spiegava ieri un esponente di Fatah che ha chiesto l’anonimato «due leader importanti come Jibril Rajub e Saeb Erekat chiedono di farla pagare all’Amministrazione e di tenere fuori dalla porta Mike Pence. Altri invece invocano moderazione e sostengono che non si può rinunciare al dialogo con gli Usa».

TRA I TANTI GOVERNI e le tante istituzioni che in queste ore criticano o condannano il riconoscimento americano di Gerusalemme capitale di Israele, è significativo l’appello della Chiesa cattolica e di altre Chiese per il rispetto del diritto internazionale a Gerusalemme. Il segretario di stato vaticano Pietro Parolin si è detto «preoccupato». Più forte la dichiarazione rilasciata dal Patriarcato latino (cattolico) di Gerusalemme. «Ogni soluzione unilaterale non può essere considerata una soluzione. Gerusalemme, infatti, è un tesoro dell’intera umanità… Gerusalemme è un unicum, è patrimonio del mondo intero… Ogni rivendicazione esclusiva – sia essa politica o religiosa – è contraria alla logica propria della città», è scritto nella nota.

DUE GIORNI FA I 13 LEADER cristiani di Gerusalemme, tra i quali padre Francesco Patton, custode francescano di Terra Santa, avevano chiesto agli Usa di continuare «a riconoscere l’attuale status internazionale di Gerusalemme».