«Siamo giunti qui da Homs. Trentadue autobus per ora. Al più presto caricheremo gli armati e le loro famiglie e ci dirigeremo verso Idlib», raccontava ieri un autista a un giornalista del portale almasdarnews.com giunto nell’altopiano di Arsal per documentare l’inizio della seconda fase dell’accordo di cessate il fuoco tra il movimento sciita libanese Hezbollah e i qaedisti di Hay’at Tahrir al Sham (Hts), l’ex Fronte al Nusra. Dopo lo scambio di prigionieri e di corpi di combattenti caduti, ora migliaia di miliziani abbandonano una fascia strategica di territorio – tra la Valle della Bekaa libanese e il Qalamoun siriano – dalla quale per anni hanno tenuto sotto pressione il Libano, organizzando attacchi e attentati, anche a Beirut. Vanno ad Idlib, l’ultima roccaforte di Hts, dove si sono già dirette nell’ultimo anno migliaia di jihadisti armati sulla base di accordi con le autorità siriane.

Non hanno scelta gli uomini di Hts. Hanno dovuto alzare bandiera bianca, non potendo resistere all’offensiva lanciata alla fine di luglio da Hezbollah, in coordinamento con le forze armate siriane e con l’esercito libanese. La “bonifica” attorno a Flita, cittadina siriana sul Qalamun, e a Tilal al Burkan sull’altopiano di Arsal, è costata la vita di non pochi combattenti sciiti e, pare, di un centinaio tra qaedisti e jihadisti, ma si è conclusa con un successo pieno. Ha consentito inoltre alle truppe di Damasco di avanzare con successo contro le postazioni dell’Isis nelle zone di Hama e Homs e, indirettamente, ha dato un nuovo impulso all’offensiva governativa per la liberazione di Deir az-Zor, città strategica della Siria orientale in parte sotto il controllo degli uomini del Califfato. Tutto questo mentre l’offensiva delle forze curde sostenute da Washington verso Raqqa, la “capitale” dell’Isis in Siria, non ha fatto progressi significativi nelle ultime settimane. Tra 30.000 e 50.000 abitanti di Raqqa sono vittime di combattimenti e bombardamenti della coalizione a guida Usa. Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, ieri ha ricordato che la metà di queste persone sono bambini.

La vittoria ad Arsal di Hezbollah non ha soltanto rimarcato il livello di addestramento e le capacità in combattimento dei guerriglieri sciiti. Ha confermato che il movimento guidato da Hassan Nasrallah, alleato dell’Iran oltre che della Siria, è ormai un attore politico regionale di primo piano. Il fatto che il successo militare sia stato ottenuto tanto rapidamente, mentre il premier libanese Saad Hariri – avversario accanito di Hezbollah e appoggiato dall’Arabia saudita – era in visita ufficiale negli Stati Uniti (25 luglio), ha fatto scattare l’allarme nell’Amministrazione Usa. Trump ha stretto l’alleanza con Riyadh in funzione anti-Iran e per questo prende di mira anche il movimento sciita. «Hezbollah rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’intero Medio Oriente», ha tuonato il presidente americano durante i colloqui con Hariri.

In casa israeliana la rapida vittoria di Hezbollah è stata seguita con grande attenzione. I media locali, riportando le dichiarazioni di esperti e comandanti militari, sottolineano che il movimento sciita non possiede solo razzi ma è in grandi di avviare operazioni militari complesse, come gli eserciti regolari. Un quadro che sprona ulteriormente chi in Israele ripete che solo una nuova guerra potrà annientare Hezbollah. L’altra sera Nasrallah ha rivolto un avvertimento diretto al governo Netanyahu. «Hezbollah non è più quello del 2006 (della prima guerra con Israele, ndr) – ha detto – le sue capacità militari offensive e difensive sono migliori e resta vigile lungo tutti i suoi confini».