Ha ucciso parenti di soldati morti in combattimento l’attentato di ieri, con quattro vittime, contro il ministero della difesa a Josr al Abyad (Damasco) compiuto da un jihadista-kamikaze. Colpito un ufficio civile del ministero della difesa dove ogni giorno si recano decine di famigliari di militari, a richiedere aiuti economici. I jihadisti non hanno esitato a colpire innocenti. Un crimine contro l’umanità non meno grave di quelli che l’Onu attribuisce al governo di Damasco e al presidente Bashar Assad. E che invece sono giudicati con più clemenza da una comunità internazionale ormai indifferente sulle sorti della Siria. Non cambia molto che la Francia si dica «molto preoccupata» per le sorti delle dodici religiose ortodosse siriane e libanesi rapite due giorni fa da ribelli jihadisti e «portate» in località sconosciuta. Parigi ha prima lavorato per armare e rafforzare le fazioni jihadiste, ora fa i conti con le conseguenze delle sue azioni.

Le 12 suore ortodosse sono state sequestrate da miliziani del Fronte al Nusra (vicino ad al Qaeda) che due giorni fa hanno fatto irruzione nel convento di Santa Tecla a Maalula, storica cittadina cristiana, 60 chilometri a nord di Damasco, nota perché vi si parla l’antico aramaico. Costringendo sotto la minaccia delle armi le religiose ad abbandonare il convento e prendendo il controllo pieno della cittadina, anche se fonti governative siriane sostenevano che l’Esercito «la strapperà presto ai terroristi». Sono stati postati su Youtube filmati che mostrano Maalula in parte distrutto e con le strade deserte. I jihadisti erano entrati la prima volta nella cittada cristiana a settembre, saccheggiando le chiese e uccidendo alcuni civili. I ribelli furono poi costretti a ritirarsi da una controffensiva governativa appoggiata da attivisti cristiani armati.

Altri religiosi cristiani sono in ostaggio dai ribelli: il padre gesuita italiano Paolo Dall’Oglio (pure se accanito oppositore di Assad) scomparso a fine luglio a Raqqah, nel nord, dov’è prigioniero dei qaedisti dello «Stato islamico dell’Iraq e del Levante», e due vescovi ortodossi rapiti in aprile tra Aleppo e Idlib. Di loro non si è più saputo nulla. Per il quotidiano turco Haberturk nel 2013 polizia e servizi segreti avrebbero bloccato e rispedito nei rispettivi Paesi circa 1.100 jihadisti provenienti da Francia, Germania, Belgio e Olanda, su richiesta dei paesi di origine dei potenziali combattenti. Perché, in realtà, Ankara ha chiuso un occhio, se non addirittura favorito negli ultimi due anni l’ingresso massiccio in Siria di qaedisti di ogni parte del mondo. L’opposizione turca e il leader curdo-siriano Saleh Muslim, denunciano che il governo del premier islamista Recep Tayyip Erdogan, schierato dall’inizio della guerra civile con i ribelli sunniti, avrebbe fornito aiuti anche ai gruppi jihadisti. Informazioni in questo senso sono state pubblicate anche da diversi organi di stampa internazionali. Sarebbero migliaia i cittadini europei, per lo più immigrati o figli di immigrati da paesi musulmani, che combattono in Siria, in particolare nei gruppi armati di al Qaida.

E c’è l’emergenza umanitaria. Ieri l’Unicef ha lanciato un nuovo allarme. È quadruplicato dall’inverno scorso il numero di bambini siriani che hanno bisogno di assistenza: ora sono 4,3 milioni contro gli 1,15 milioni del dicembre 2012.