L’Iran sconsiglia l’invio di una missione navale a guida europea. «L’introduzione di qualsiasi forza nel Golfo Persico esacerba solo l’insicurezza», ha spiegato il ministro degli Esteri iraniano Zarif a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York. «In uno stretto specchio d’acqua con molte navi da guerra può succedere qualsiasi cosa: incidenti, incidenti pianificati, sabotaggi. Per questo lo sconsigliamo».

I VENTI DI GUERRA facilitano una ulteriore ascesa dei pasdaran che hanno fermato l’avanzata dell’Isis nella regione e non perdono occasione per dimostrare di essere i soli in grado di difendere i confini. Per questo, i moderati Zarif e il presidente Rohani sanno di contare sempre meno nei giochi interni alla Repubblica islamica: sono stati i promotori dell’accordo del 2015 con cui Teheran ha rinunciato alla sovranità nucleare in cambio di niente, perché le sanzioni finanziarie statunitensi non erano state eliminate durante la presidenza di Barack Obama e il suo successore Donald Trump ne ha introdotte altre.

La questione iraniana e le tensioni nel Golfo persico sono al centro delle discussioni al Palazzo di Vetro. Nella delegazione iraniana ci sono soltanto Rohani, Zarif e pochi altri: agli altri, gli Stati uniti non hanno rilasciato il visto. Consapevole che i suoi uomini potrebbero essere criticati per numerosi motivi, il leader supremo Khamenei (che ha l’ultima parola su tutto) ha ordinato di dare il via libera alla petroliera britannica Stena Impero, sequestrata dai pasdaran a luglio, in risposta a un’operazione analoga dei Royal Marines britannici che la notte del 4 luglio avevano preso d’assalto nei pressi di Gibilterra una petroliera iraniana accusata di portare greggio in Siria, in violazione alle sanzioni europee.

UN’ALTRA QUESTIONE su cui Rohani e Zarif potrebbero essere interpellati (anche dai giornalisti) a New York è il divieto imposto alle iraniane di entrare negli stadi. Il 9 settembre la 29enne Sahar Khodayari era morta per le ustioni riportate la settimana prima, quando si era data fuoco in segno di disperazione (e protesta) dopo aver saputo della condanna a sei mesi di carcere per essere entrata, travestita da uomo, allo stadio Azadì della capitale: voleva tifare per la squadra del cuore, l’Esteghlal di Teheran. Il suo gesto ha acceso i riflettori sul divieto. Il sacrificio di questa giovane donna non sembra essere stato vano perché finalmente, dopo una battaglia durata decenni, il 10 ottobre le iraniane potranno entrare allo stadio di Teheran per assistere alla partita della nazionale contro la Cambogia per la qualificazione ai Mondiali di calcio 2020 del Qatar.

Di fronte al tentativo della leadership iraniana di prevenire almeno alcuni dei numerosi problemi che potrebbero essere sollevati all’Assemblea generale dell’Onu, la diplomazia britannica non sembra essere in grado di fare altrettanto. In volo per New York il premier britannico Boris Johnson non ha escluso né un attacco militare alla Repubblica islamica né nuove sanzioni, e ha dichiarato ai giornalisti che molto probabilmente dietro agli attacchi di sabato 14 settembre alle installazioni petrolifere saudite ci sarebbe l’Iran.

Già lo sapete, a rivendicare l’attacco sono stati i ribelli yemeniti, ma difficilmente avrebbero potuto fare tanti danni da soli. Eppure, da Teheran ayatollah e pasdaran respingono ogni accusa e finora soltanto i sauditi avevano osato accusarli in modo esplicito. Rincarando la dose, il premier britannico ha aggiunto che Londra sta lavorando con gli Usa e gli altri paesi europei per costruire una risposta – unita e diplomatica – che possa diminuire le tensioni nella regione del Golfo: si tratta della missione navale europea che, secondo Zarif, potrebbe solo esacerbare l’insicurezza.

IN RISPOSTA A BORIS JOHNSON, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Abbas Mousavi ha attaccato il governo di Londra colpevole di «vendere armi letali all’Arabia Saudita». Il problema, ora, è che il premier britannico dovrebbe incontrare il presidente iraniano per chiedergli la liberazione di Nazanin Zaghari-Ratcliff, condannata a cinque anni per spionaggio, e di altri due iraniani naturalizzati britannici in carcere. Purtroppo Johnson non sa cosa sia la diplomazia, e nemmeno l’opportunismo: difficilmente le sue dichiarazioni spianeranno la strada alla liberazione di Nazanin e degli altri, prigionieri dei falchi di Teheran.