Nonostante il clima festivo è stata una fine d’anno meno scintillante del previsto per il Metropolitan Opera di New York. Il più grande teatro d’opera statunitense, sostenuto da fondi privati, combatte da anni con una progressiva disaffezione del pubblico, che non riempie la sala mai oltre ai due terzi, salvo rare eccezioni. I titoli di dicembre quest’anno componevano però una proposta allettante: due classici ‘natalizi’ in inglese, La Vedova Allegra di Lehar , nella lussuosa produzione di Susan Stroman, con la diva di casa Susan Graham e il magnifico allestimento di Richard Jones di Hansel e Gretel di Humperdinck. Per le recite di fine anno, il Met ha schierato per Le Nozze di Figaro un’ ottima compagnia da Nadine Sierra, deliziosa Susanna al Conte di Markus Kwiecien, nevrotica controparte della materna contessa di Ailyn Pérez. Ancora meglio il Cherubino sbarazzino di Isabel Leonard e il Figaro di Ildar Abrazakov, che ha dimostrato quanto possa guadagnare l’opera di Mozart in bocca a una grande voce, quando tecnica, stile e recitazione restano impeccabili. L’asciutta direzione di Harry Bicket coglieva bene il gusto «slapstick» dell’allestimento anni ’30, firmato dal britannico Richard Eyre qualche stagione fa.

Il titolo su cui il Met aveva puntato per il gala di capodanno era però Tosca, nuova produzione di David McVicar che sostituisce l’allestimento di Luc Bondy, detestato dal pubblico newyorkese. Tosca si è però rivelata un catalizzatore di sfortune inimmaginabili, con il cast originale che nel giro di sei mesi è cambiato completamente: prima ha rinunciato il tenore Jonas Kaufmann, in cartellone a dicembre in Andrea Chenier a Monaco. Sono seguite a inizio estate le defezioni del soprano Kristine Opolais, beccata dai critici Usa, e del direttore Andris Nelsons, suo marito. In seguito anche Bryn Terfel, al termine di una stagione molto onerosa, ha abbandonato il progetto. Con i debutti di Sonya Yoncheva e Vittorio Grigolo il Met ha assicurato una proposta di notevole richiamo, ma il peggio è arrivato a dicembre con l’esplosione dello scandalo che ha travolto James Levine, che aveva accettato di sostituire Nelsons. Le gravi accuse a mezzo stampa da parte vari musicisti di molestie sessuali avvenute decenni or sono hanno indotto il Met a sospendere ogni collaborazione con il direttore emerito Levine, aprendo una non meglio precisata indagine interna.

Mossa sicuramente inevitabile visto il peso dello scandalo, ma condotta in modo spiccio, con una gelida email di scuse a tutti gli abbonati, quasi che il Met estromettesse un qualunque direttore passato dal suo podio, non il direttore che per quarant’anni ha retto le sorti del maggior teatro americano. Curiosamente Emmanuel Villaume, chiamato al difficile compito di dirigere una produzione sviluppatasi in una simile tempesta, ha offerto una narrazione efficace e equilibrata della partitura pucciniana, sostenendo bene anche i due debuttanti, che hanno raccolto un successo calorosissimo.

Due voci e due protagonisti giovani, Yoncheva e Grigolo sono apparentati da un canto generoso ma anche attento alle ragioni della musica, alla dizione e alla visione complessiva del personaggio, con platealità ridotte al minimo. Anche il baritono Željko Lucic ha comunque mantenuto le sue escandescenze ferine nei limiti di un canto ruvido ma efficace. Il vero problema era la regia di McVicar, ormai da anni favorito del Met, che gli ha affidato numerosi titoli, fra cui molte opere belcantistiche, McVicar sembra aver smarrito la vena creativa.

La sua regia si limita a ambientare stancamente Tosca all’interno delle lussuose scene di John McFarlane – bellissima la chiesa del primo atto – di cui non sfrutta alcuna potenzialità. Meno infelice della precedente Norma ( grandissimo successo in ottobre grazie a un cast strepitoso) questa Tosca è comunque priva di idee al punto da suggerire che, senza avvisare, anche il regista abbia dato forfait insieme al cast originale. Nelle recite della primavera 2018 alla Yoncheva succederà Anna Netrebko, attesissima dal pubblico newyorkese.