Licenziare, licenziare, licenziare. Il governo Renzi ha una idea sola, una formula magica buona per tutti gli usi. Occorrono nuove assunzioni? Licenziamo. Bisogna riformare il pubblico impiego? Rendiamo facili i licenziamenti. Dopo l’insperato assist della protesta dei vigili romani, furbescamente fatta passare per un’orgia crapulona di certificati medici falsi a scopo cenone, il governo accelera. Non si chiamerà Jobs act, ma i risultati della riforma della pubblica amministrazione saranno identici. Il testo verrà probabilmente corretto e irrigidito con un paio di emendamenti che dovrebbero trasferire il controllo sulle richieste di certificati per malattia dalle Asl all’Inps, come per i privati, e istituire commissioni incaricate di sorvegliare il comportamento dei dipendenti e mettere alla porta i «fannulloni». Pietro Ichino, vero ideologo delle politiche del lavoro di Renzi, non si accontenta e chiede di più: magari un premio ai manager che si dimostrano più spietati e inclini a ghigliottinare i reprobi. Al solito, gli umori profondi del Pd nell’età di Renzi si colgono anche meglio prestando orecchio ai semplici deputati. Come Antonio Misiani che vorrebbe «colpirne uno per educarne cento, come diceva il compagno Mao». Citazione molto in voga, un tempo, anche tra le Brigate rosse.

Per ora il governo non parla esplicitamente di licenziamenti per i vigili in malattia o assenti in quanto donatori di sangue la notte di san Silvestro. L’opzione peraltro è sul tappeto e lo sanno tutti. Nei primi giorni della settimana prossima, forse già lunedì, forse subito dopo la befana, entreranno in azione gli ispettori del ministero di Marianna Madia. Ufficialmente «per far luce sulla vicenda». In realtà per verificare la praticabilità di alcune punizioni esemplari.

Del resto alla gioiosa festa del licenziamento collettivo partecipano un po’ tutti. Neppure chi critica Renzi, come il M5S, mette in discussione i taumaturgici poteri del benservito. Solo, vorrebbe estenderne gli effetti anche al presidente del consiglio: «Mentre critica il deplorevole comportamento dei vigili, Renzi usa un aereo di Stato da 9mila euro all’ora per andare in vacanza. Sono atteggiamenti come il suo ad alimentare il menefreghismo di alcuni dipendenti pubblici», attacca Di Maio. Pronta la risposta del presunto capo-reprobo: «Mica sono scelte mie: frutto di protocolli di sicurezza». Fosse per lui, si sa, a Courmayeur ci sarebbe andato in bici, come si conviene a un bravo scout.

Il governo nazionale affila la mannaia, quello romano già se la sente calare proprio in mezzo al collo. Presa la decisione, impostata a caldo la strategia di difesa, il primo cittadino non ci ripensa e anzi carica ulteriormente i toni. Qui l’unica per salvarsi è far apparire Robespierre un poppante, e reclamare un Terrore all’ennesima potenza. Un po’ Marino bisogna capirlo. Il fuoco è concentrico, non accenna a calare d’intensità dopo le mitragliate delle prime ore e il sindaco si fa scudo parlando per la prima volta apertamente di punizioni severissime per i colpevoli della protesta: «Quello dei vigili è stato un tradimento nei confronti della città. Non escludo licenziamenti. Bisogna controllare con severità ma senza astio quel che è accaduto».

È evidente che i caschi bianchi sono a questo punto solo una pedina giocata dagli uni per stringere ancora di più l’assedio al Campidoglio, e dagli altri per difendersi da quell’assedio. Non a caso a difendere i vigili sono proprio le forze che più mirano a colpire il sindaco. Storace di FdI, che proprio a Roma e nel Lazio ha la sua base più forte, è il solo a parlare apertamente non di assenteismo ma di protesta giustificata: «I vigili ci hanno rimesso di tasca loro i 250 euro dello straordinario. Quando la sinistra è al governo, protestare e scioperare è vietato». Ma anche Alfio Marchini scende in campo con l’occhio puntato sulla poltrona di Marino: «I vigili sono stati ingenui. Proprio nel mezzo di una trattativa che punta a ridurgli lo stipendio di 500 euro hanno fatto il poco furbo errore di capodanno. Avessero scioperato il giorno dopo avrebbero evitato l’ennesima paracula beatificazione di quel furbone di Marino».

Contro i vigili, invece, muove il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone. E non si limita a difendere il piano di rotazione che ha provocato la rivolta dei vigili e di cui è il principale ispiratore. Ma si spinge fino a emettere una sentenza capitale sulla forma di protesta adottata dai caschi bianchi: sarebbe inaccettabile. Del resto i magistrati dovranno pur avere voce in capitolo.