«Nessun individuo può fermare questo processo. È una cosa troppo grande. Siamo sull’orlo». Sommerso dagli applausi, dalle urla e dai fischi di approvazione, Al Gore ha concluso così la sua apparizione sul palco dell’Eccles Theater, dopo la proiezione di An Inconvenient Sequel: Truth to Power, il follow up del suo fortunatissimo documentario ambientalista An Inconvenient Truth, una scelta più che simbolica per aprire l’edizione 2017 del festival. Prima dell’inizio del film, Robert Redford aveva definito Gore: «Un mio caro amico, con cui ho lavorato molto» e «con il quale, qualche anno fa, la politica e la Corte suprema non sono stati molto gentili».

Ma, se la presenza di Gore, a poche ore dall’inaugurazione di Donald Trump, non poteva non portare con sé un’ aura di (presidenza in) esilio, il tono del film, e del suo protagonista, erano decisamente pragmatici, e calibrati per il futuro. L’inclusione di un’inquadratura in cui si vede Gore entrare nell’ascensore della Trump Tower chiariva infatti che, fino all’ultimo, i registi Bonni Cohen e Jon Shenk, e i produttori del film (la Participant, del visionario «filmantropo» Jeff Skoll), hanno tenuto conto del corso degli eventi.
«Non è stata la mia unica conversazione con Trump. Ce ne saranno altre», ha detto Gore a una spettatrice che gli ha chiesto cosa era uscito dalla sua visita al quartier generale del nuovo presidente, che ha più volte definito il cambiamento climatico una bufala e ha già promesso di revocare gli accordi di Parigi .

«Non so cosa succederà. Due giorni dopo che ci siamo incontrati ha nominato una persona che non ritengo adatta alla direzione dell’ Environnmental Protection Agency. Ma ho visto parecchi scettici trasformarsi in credenti. Questa è una storia che ha molti capitoli. Oggi come oggi, le barriere sono puramente politiche. Ma siamo di fronte a un problema morale, etico e spirituale. Stiamo combattendo una battaglia per decidere se siamo una specie patetica e miope, destinata a rimanere su questo pianeta solo per un breve periodo, o qualcosa di più. È il momento di dirigere il timone in direzione delle stelle, non delle luci della prima nave che passa», ha aggiunto l’ex vicepresidente di Bill Clinton e, riffando sul titolo del film, ispirato da una famosa frase di Gandhi, e inteso anche in risposta allo zeitgeist del momento: «La verità significa ancora qualcosa. Ha una sua forza. E a un certo punto diventa innegabile».

Dalla decisione della Corte suprema che attribuì la presidenza degli Stati Uniti a Bush ad oggi, Gore ha usato molte delle doti giudicate «squalificanti» durante la sua campagna elettorale – intelletto, serietà, passione e una conoscenza enciclopedica dei problemi da affrontare – a favore della causa. Interamente costruito sulla base della sua power point presentation, destinata a informare potenziali attivisti della lotta per la tutela dell’ambiente, An Inconvenient Truth, diretto da Davis Guggenheim e distribuito in Usa dalla Paramount, diventò un inaspettato successo di botteghino e vinse due Oscar.

An Inconvenient Sequel, che uscirà nei cinema l’estate prossima, sempre con l’appoggio della Paramount, lavora sullo stesso modello, allargandolo però a un contesto più vasto.
Dieci anni dopo e con tutti i capelli bianchi, Gore ha portato la sua presentazione/performance – che rivede e aggiorna costantemente – a circa 10.000 attivisti di tutto il mondo.
Nello stesso arco di tempo, ha svolto un paziente lavoro dietro le quinte, di governo in governo. C’è non poca ironia nel fatto che la prima parte del documentario ci porti in Florida (lo stato in cui le sue ambizioni presidenziali sono andate in frantumi): Miami è la grande città Usa più a rischio di venire sommersa dalla acque. Gore visita Miami Beach allagata dopo una pioggia torrenziale, con le autorità locali in procinto di alzare il livello delle strade di circa un metro e mezzo.

Ci racconta poi di come il satellite Dscvr che aveva immaginato in orbita per studiare le mutazioni climatiche sia stato rottamato dall’amministrazione Bush/Cheney (Obama ne autorizzerà il lancio). Mentre l’uragano Sandy, e la catena sempre più fitta di siccità e alluvioni, provano che le previsioni apocalittiche di An Inconvenient Truth erano tutt’altro che ridicole, Gore zigzaga il mondo come un evangelista, lavorando però di grande dettaglio politico. Illuminante, per esempio, scoprire l’entità del suo ruolo nella conferenza sul clima di Parigi. Fu Gore, infatti, a ottenere l’importantissima adesione dell’India, dopo aver convinto la più grande manifattura di pannelli solari del mondo a offrire la sua tecnologia a prezzi ridotti al governo di Delhi.

Perché, ci dice il film, oggi l’economia è dalla parte delle energie rinnovabili. «Si tratta di risparmio economico e di buon senso», spiega anche il sindaco di Georgetown («un conservatore, nella città più rosso repubblicano della contea più rossa del Texas») il cui funzionamento energetico dipende al 100% dai pannelli solari. In altre parole, anche nell’era di Trump, il messaggio dell’eco profeta dal Tennessee è ancora: yes, we can .