Dopo l’Iraq, anche gli sciiti siriani scendono in piazza. Non per chiedere servizi come a Baghdad ma per premere sull’acceleratore della risposta governativa alle opposizioni islamiste. Martedì e ieri si sono tenuti sit-in a Damasco, Aleppo e Homs: in centinaia hanno fatto appello all’esercito perché rompa l’assedio sulle città sciite di Kafraya e Foa, occupate dall’Esercito della Conquista, coalizione di milizie islamiste guidata da al-Nusra.

A Damasco i manifestanti hanno marciato verso l’aeroporto, ad Homs hanno bloccato alcune strade annunciando di volerci restare fino a quando il doppio assedio non sarà vinto. Un assedio brutale: manca tutto, medicinali, acqua potabile e cibo, mentre missili piovono sui 40mila civili intrappolati. Tanto brutale da far muovere l’Iran che ha tentato di negoziare un cessate il fuoco con uno dei gruppi coinvolti, il salafita Ahrar al-Sham, sotto la supervisione turca. Il negoziato si era allargato a Zabadani, città contesa tra islamisti e il fronte Damasco-Hezbollah: Ahrar al-Sham avrebbe accettato di spostarsi verso Idlib, controllata da al-Nusra, dietro la garanzia del governo siriano di non attaccare i miliziani in ritirata.

Ma dopo due giorni il dialogo è collassato e la battaglia ripresa: il 90% di Zabadani è oggi sotto il controllo delle due forze sciite, ma Hezbollah preferisce non cantare vittoria e ieri ha smentito le voci di una presa definitiva della strategica comunità al confine con il Libano. La risposta dei qaedisti è arrivata subito. Non a Zabadani ma a Kafraya e Foa, dove si è intensificato il lancio di razzi contro i civili. È arrivata anche a Latakia, roccaforte del presidente Assad, fin dall’inizio della guerra civile saldamente in mano a Damasco: ieri un’autobomba esplosa davanti ad una scuola ha ucciso almeno 10 persone e ne ha ferite 25. Per ora nessuno ha rivendicato l’azione ma gli ultimi mesi Latakia ha assistito all’avanzata, intorno alla città, degli uomini di al-Nusra.

Il braccio siriano di al Qaeda è altra cosa rispetto allo Stato Islamico, diversi gli obiettivi e parzialmente diversi i nemici: se il sedicente califfato ha mire transnazionali, al Nusra ha un altro scopo. Come le opposizioni siriane, intende scalzare il governo Assad e prenderne il posto. Diventare regime in Siria. Per questo gli scontri con l’esercito siriano sono strutturali e frequenti.

Chissà se è questo il ragionamento dell’ex direttore della Cia, David Petraeus, travolto dallo scandalo dell’attacco all’ambasciata Usa di Bengasi. Nonostante la pubblica gogna, l’ex generale non disdegna di elargire consigli ad Obama: reclutare membri di al-Nusra in chiave anti-Isis. «Alcuni miliziani, individui, si sono arruolati per ragioni opportunistiche più che ideologiche: vedono al-Nusra come il cavallo vincente, in assenza di alternative credibili. [È possibile] convincere i ‘ragionevoli’ a lasciare ad al-Nusra per allinearsi alle opposizioni moderate contro Isis e Assad».

Una simile proposta si fonderebbe sull’esperienza dell’ex generale che in Iraq lavorò per reclutare milizie sunnite in chiave anti-al Qaeda. Ora l’equazione si ribalta, con i qaedisti a fare da piede di porco per vincere le resistenze del governo. Perché, nell’assordante assenza di strategia da parte statunitense e con i gruppi moderati incapaci di prevalere sul campo di battaglia, è quello l’obiettivo Usa: far fuori Assad.

Dall’altra parte del fronte, al fianco del presidente, resta l’Iran e – secondo i media israeliani – ancora la Russia. Che Mosca abbia sostenuto e difeso Damasco negli ultimi 4 anni non è una novità, anche con consiglieri militari sul campo. Secondo la stampa di Israele e fonti militari Usa sentite dal Daily Beast, però, si è spinta oltre: avrebbe aperto basi militari permanenti fuori Damasco e inviato migliaia di soldati e piloti di jet per combattere Stato Islamico e gruppi anti-Assad. Mosca (che da settimane ha aperto alle opposizioni moderate) smentisce la notizia. Se confermata (difficile pensare che gli Usa non ne siano al corrente), segnerebbe l’ingresso della Russia nella coalizione e un’obbligata revisione dei rapporti tra Washington e Damasco. O la definitiva rottura tra le due super potenze.