«Nulla forse riesce a ritrarre con maggiore vividezza lo spaventoso degrado in cui è precipitato il mondo dopo la Prima guerra mondiale quanto la limitazione delle libertà di movimento e del diritto alla libertà dell’individuo», scriveva Stefan Zweig, anche lui errante forzato nel mondo.

E così continuava: «Prima del 1914 la terra apparteneva a tutti. Ognuno andava dove voleva e ci rimaneva finché lo desiderava». Una frase tratta dalla migliore delle sue opere Il mondo di ieri, ma sembra proprio il mondo di oggi. Stando anche agli esiti degli ultimi sondaggi la percezione ostile alla presenza di stranieri, particolarmente nel nostro paese, è di gran lunga superiore alla entità effettiva.

Segnale inequivocabile che la propaganda xenofoba e razzista ha sfondato in ampi strati della popolazione, sfruttando l’assist che le politiche dei governi di centrosinistra le avevano fornito in questi ultimi anni. Che fare allora? Il manifesto, come si è mosso con successo altre volte nel passato, ha prontamente insistito che è necessario raccogliere l’energia di tutte le forze democratiche e antirazziste per potere ribaltare la situazione. nnn

Nel frattempo le manifestazioni autoconvocate nel porto di Catania e nel centro di Milano, come fu a suo tempo per Macerata, hanno dimostrato che una sinistra e un potenziale schieramento democratico ancora più ampio esistono. E si manifestano tanto più chiaramente e prontamente quando sentono su di sé direttamente la responsabilità di reagire ad una china sempre più pericolosa. Indipendentemente dagli orientamenti delle forze politiche sopravvissute allo tsunami del 4 marzo. Bisogna quindi dare voce, visibilità e spazio a questo movimento reale.

Come ha giustamente osservato Nadia Urbinati, che non può essere certo tacciata di pulsioni populiste, «Il risveglio dell’opposizione è avvenuto in piazza: non nei partiti, non in Parlamento». Questo ha avuto il merito di smuovere anche organizzazioni e forze politiche.

È il caso del manifesto antirazzista promosso da Anpi, Arci, Articolo 21, Cgil, Legambiente, Libera, Rete della pace e Tavola della pace che fa appello alla società civile contro il clima di violenza, di intolleranza e di paura fomentato in particolare da Salvini.

Certamente anche la tradizionale marcia Perugia-Assisi per la pace si caricherà di questi significati, come del resto è accaduto con sempre maggiore evidenza nelle ultime edizioni. Ma qui non si tratta di aggiungere un argomento, anche se in perfetta sintonia con altri. Qui si tratta di non lasciare il terreno di scontro all’avversario. Ha sicuramente ragione chi afferma che la lotta a favore dei migranti e dei loro diritti (come ha scritto su queste pagine Etienne Balibar del «diritto internazionale dell’ospitalità») non copre tutto l’arco degli argomenti su cui si deve sviluppare una efficace opposizione al governo fasciostellato.

Vi sono i temi della pessima condizione economica del Paese, della disoccupazione generale e giovanile in particolare, evidenziati spietatamente proprio in queste ore da Istat che sradicano l’irresponsabile ottimismo governativo, ieri dei Renzi oggi del duo Salvini-Di Maio. Nodi che verranno al pettine nella imminente sessione di bilancio. Ma qualcuno pensa realmente di portare a casa qualche risultato su questi fronti, mentre i migranti marciscono sui ponti di comando di navi bloccate nei porti italiani o moltiplicano gli ospiti di quel cimitero liquido all’aperto che è diventato il mare Mediterraneo?

Possibile che non si capisca il senso profondo dell’esperienza di Riace ove immigrazione e integrazione volontaria hanno salvato un paese dal declino che i famosi bronzi non hanno fermato e ha dimostrato come uno sviluppo alternativo abbia possibilità di maggiore successo se fatto da soggetti diversi fra loro?

Per questi motivi è necessario costruire una mobilitazione nazionale, plurale, unitaria che abbia al centro, e non come un accessorio, la lotta al razzismo.
La sua possibilità di successo deriva anche dal fatto che nessuno se ne appropri o la pensi come un passaggio per il proprio rilancio. Chiunque sia. Meno che mai può farlo il Pd, in evidente angoscia di visibilità. Nessuno dimentica – e ce lo ri-ricordava ieri Enrico Pugliese – il filo che lega la politica migratoria del ministro Minniti con le provocatorie e criminali scelte di Salvini. Anzi quest’ultimo ha rivendicato apertamente tale discendenza.

In queste ore il segretario del Pd Martina lancia per fine settembre una manifestazione contro il governo dell’odio. Per costituire un segnale reale di risipiscenza verso le politiche passate e la confusa paralisi postelettorale dovrebbe allontanare in partenza ogni fondato sospetto che lì si stia giocando in primo luogo una battaglia congressuale.

Il messaggio che viene invece veicolato, è quello di tenere insieme tutte le anime alternative alla deriva sovranista «da Macron e Sánchez a Tsipras». Ovvero gli oppressi con gli oppressori.