Sono stati una litania di speranzosi propositi e impegni non rispettati i negoziati internazionali al capezzale del clima, avviati nel 1995 con la prima Conferenza delle parti (Cop) della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici. Adesso, forse, di nuovo c’è che «il mondo si sta svegliando. La pressione sta aumentando», ha affermato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres in chiusura del vertice Onu per l’azione sul clima 2019.

In effetti, secondo lo Special Report 15 dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo degli scienziati sul clima) per avere il 67% di possibilità di contenere entro gli 1,5° C l’aumento delle temperatura terrestre, il rimanente carbon budget (la quantità massima di carbonio che può essere rilasciata in atmosfera) era pari l’anno scorso a 420 miliardi di tonnellate di CO2, esauribili in dieci anni al trend attuale di emissioni.

Al Vertice, il presidente del Cile (che ospiterà fra pochi mesi la cruciale Cop 25) ha annunciato la creazione di una Climate Ambition Alliance. Chi ne fa parte? Il comunicato finale dell’Onu riassume così: «Settanta paesi hanno annunciato che aumenteranno i loro piani d’azione per la riduzione entro il 2020, e undici fra questi lo stanno facendo». Fra questi «i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e il gruppo dei paesi meno avanzati, sono stati fra quelli che hanno presi i maggiori impegni, pur avendo contribuito molto meno alla crisi». Inoltre, settantasette paesi si sono impegnati ad azzerare le emissioni nette di gas climalteranti entro il 2050 (insieme a 10 regioni, 102 città, e poi imprese e investitori). Ne fa parte l’Italia, membro anche della Carbon Neutrality Coalition.
Non citati dall’Onu per carità di patria, alcuni paesi fuori da ogni classifica per aver fatto malissimo i compiti: Stati uniti, Brasile, Australia, Giappone fra gli altri.

Il comunicato finale dell’Onu non dimentica i potenti e danarosi attori privati: 87 grosse compagnie, per un valore cumulativo di mercato di 2.300 miliardi di dollari si sono impegnate a ridurre le emissioni; così anche 130 banche e un gruppo di investitori che mira a rendere carbon-neutral il portfolio di investimenti.

Un risveglio dell’etica o – come è più probabile – profitti verdi insieme alla solita corsa alle compensazioni/indulgenze e altri meccanismi di mercato?

Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Slovacchia lavoreranno per uscire (almeno) dal carbone. Vari gli impegni ad aumentare i fondi per la finanza climatica. La Federazione russa ratificherà l’Accordo di Parigi. La Germania si impegna a diventare carbon neutral entro il 2050. Il Pakistan pianterà 10 miliardi di alberi. La Cina taglierà le emissioni di 12 miliardi di tonnellate all’anno. L’Islanda è già al 100% di rinnovabili per l’elettricità e il riscaldamento; «La trasformazione nelle energie pulite è il nostro migliore investimento, economico e sociale», ha detto la presidente. La Francia non farà accordi commerciali con chi non fa i compiti rispetto all’Accordo di Parigi, «ma ovviamente crediamo nella globalizzazione», ha puntualizzato Macron. Promesse anche da Stati e imprese membri della Cool Coalition, l’energivoro settore del freddo – aria condizionata e refrigerazione – che potrebbe crescere del 90% da qui al 2050…

L’India punta anche sul sole, nel quadro della International Solar Alliance formata da 80 Stati. Ne fa parte anche la Repubblica democratica del Congo, che abbatterà il prelievo di legna da ardere e lavora nella Coalizione per le soluzioni naturali (foreste soprattutto). Nessuna dichiarazione da parte di nessuno su un comparto spinoso: il militare.