Il presidente Zelensky ha avviato le procedure legislative per proibire alla Chiesa ortodossa ucraina rimasta legata al Patriarcato di Mosca di operare e promuovere attività di culto in tutto il Paese. Non è ancora l’espulsione dal territorio ucraino. Ma sicuramente una fortissima limitazione alla libertà religiosa, sulla base del sospetto che fra le fila del clero e nei monasteri ortodossi ucraini legati a Mosca si annidino spie russe e si realizzino attività politiche orchestrate dal Cremlino.

Eppure la stessa Chiesa ortodossa ucraina fedele al Patriarcato di Mosca, guidata dal metropolita di Kiev Onofrio, già nello scorso maggio aveva preso le distanze da Kirill – che non viene infatti più menzionato nelle liturgie -, rafforzando la propria «piena autosufficienza e indipendenza» da Mosca: non uno scisma, ma quasi, sebbene le autorità ucraine ne ridimensionino la portata (v. il manifesto del 29 maggio). E ha più volte condannato l’invasione russa dell’Ucraina, come ha confermato ieri il vescovo Kliment, portavoce della Chiesa, in un’intervista a Repubblica: «Abbiamo condannato l’invasione russa dal 24 febbraio scorso, il primo giorno. Abbiamo ispirato tutte le chiese ortodosse d’Europa nello schierarsi con la libertà dell’Ucraina. «Abbiamo pregato e detto di pregare per tutto il popolo ucraino. Quella in corso non è una guerra santa», come invece afferma il patriarca di Mosca Kirill. Evidentemente per Zelensky non è sufficiente.

Ma si affaccia anche l’ipotesi che in realtà Kiev voglia liquidare la Chiesa ortodossa ucraina ancora legata a Mosca e trasferire tutte le sue dodicimila parrocchie alla seconda Chiesa ortodossa ucraina, che nel 2018 – anche per le forti spinte dell’ex presidente ucraino filo-occidentale Poroshenko – si separò formalmente da Mosca ottenendo l’«autocefalia» dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo ed è attualmente guidata dal metropolita Epifanio.

La vicenda è cominciata un paio di settimane fa, quando i servizi segreti ucraini hanno avviato una serie di perquisizioni in diversi monasteri e parrocchie della Chiesa ortodossa ucraina legata a Mosca, dove sembra sia stato trovato del materiale di propaganda filo-russa. Nella tarda serata di giovedì primo dicembre è arrivato il decreto firmato da Zelensky che propone di mettere al bando tutte le organizzazioni religiose «affiliate a centri di influenza della Federazione russa», a cominciare, ovviamente, dalla Chiesa ortodossa che non ha spezzato tutti i legami con Mosca. Il giorno dopo, poi, il monastero delle grotte di Kiev – principale luogo di culto dell’ortodossia fedele a Mosca – è diventato di proprietà della Chiesa ortodossa ucraina autocefala.

Vogliamo «garantire l’indipendenza spirituale all’Ucraina», «non permetteremo mai a nessuno di costruire un impero all’interno dell’anima ucraina», ha detto Zelensky, illustrando il decreto. Che comunque non è già operativo: il Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale ha due mesi di tempo per trasformarlo in disegno di legge che poi la Rada di Kiev dovrà approvare.

«I dirigenti ucraini sono pronti ad agire contro la loro stessa popolazione, per di più quella più indifesa e inerme, i fedeli e il clero della più grande e unica Chiesa ortodossa canonica in Ucraina», ha commentato su Telegram il portavoce della Chiesa ortodossa russa Vladimir Legoyda. «Le autorità ucraine sono diventate apertamente nemiche di Cristo e della fede ortodossa», ha aggiunto il vice presidente russo Medvedev. Insomma la guerra si combatte anche nelle Chiese.