Non tutti gli scrittori hanno la stessa percezione del pubblico per cui scrivono. Molti, forse, neanche pensano di indirizzare la propria opera a un certo particolare pubblico. È però evidente che ci sono periodi storici in cui, a tutti i livelli, cambia la percezione che hanno gli autori dei propri lettori, il che inevitabilmente produce dei cambiamenti nel tipo di testi che scrivono.
L’esempio più ovvio è il periodo che va dal Trecento al Cinquecento, quando in tutta Europa gli scrittori abbandonano il latino in favore del volgare. Invece di introdurre, come prima, la loro opera in un’arena internazionale, presieduta da un’élite per lo più clericale, si «calano» nelle lingue locali e nazionali per rivolgersi alla classe media emergente.
Nei manuali di storia questo spostamento verso il volgare tende a essere presentato come un processo di ispirazione democratica che ha permesso alla ricca vitalità locale di entrare nei testi scritti. Ciò detto, è probabile che a guidare il processo fossero anche molta ambizione e interesse economico. Si era arrivati al punto in cui non aveva più senso scrivere in latino, perché gli arbitri del gusto ora appartenevano a gruppi nazionali piuttosto che internazionali. Oggi siamo agli albori di una rivoluzione di importanza ancora maggiore, che ci porta però in una direzione totalmente diversa.
Come conseguenza dell’incalzante globalizzazione è chiaro che andiamo verso un mercato letterario globale. Si ha sempre più l’impressione che per essere considerato «grande», un autore debba essere un fenomeno internazionale più che nazionale. Un cambiamento forse meno evidente negli Stati Uniti di quanto non lo sia in Europa, grazie all’entità e al potere del mercato americano, oltre al fatto che l’inglese è percepito ovunque come la lingua della globalizzazione. Tuttavia, sempre di più autori europei, africani, asiatici e sudamericani sentono di aver «fallito» se non raggiungono un pubblico internazionale.
Negli ultimi mesi, autori tedeschi, francesi e italiani – si parla di stati con un pubblico nazionale di lettori vasto e consolidato – mi hanno espresso il loro rammarico per non aver trovato un editore che pubblicasse le loro opere in inglese, lamentando che tale fallimento si ripercuoteva anche sul loro prestigio nei paesi di provenienza: se non ti vogliono all’estero i tuoi libri non saranno poi così belli.
Di certo, in Italia, si pensa che un autore abbia raggiunto davvero il successo solo se lo pubblicano a New York, se il risvolto di copertina può vantare la dicitura «tradotto in molti paesi stranieri». Per avere un’idea di quanto siano cambiate le cose, basta riflettere su quanto poco avrebbe intaccato la reputazione di Zola o di Verga che fossero stati immediatamente pubblicati a Londra o meno.
Questi sviluppi hanno subìto un’enorme accelerazione grazie alla trasmissione elettronica dei testi. Oggi, appena completato, un romanzo, o anche solo il primo capitolo, può essere sottoposto a decine di editori in tutto il mondo. Non è raro che i diritti per l’estero siano venduti prima che il libro trovi un editore locale. Un agente astuto, allora, può orchestrare il lancio simultaneo di un libro in più paesi diversi adottando strategie di promozione e marketing che normalmente associamo alle multinazionali. Così, un lettore che prende in mano una copia dell’Inferno di Dan Brown o dell’ultimo Harry Potter o ancora un libro di Umberto Eco, Haruki Murakami, o Ian McEwan, lo fa con la consapevolezza che quel libro viene letto, nello stesso momento, in tutto il mondo. Comprando quel libro, un lettore entra a far parte di una comunità internazionale, e questa percezione, a sua volta, accresce il richiamo del libro stesso.
La proliferazione dei premi letterari internazionali garantisce che il fenomeno non sia ristretto solo al settore più popolare del mercato. Malgrado le sue discutibili procedure di selezione e le sue scelte spesso bizzarre, il Nobel è ritenuto senz’altro molto più importante di qualsiasi premio nazionale. Il premio Impac in Irlanda (il più cospicuo del mondo per un singolo romanzo), il Mondello in Italia, il Booker International in Inghilterra, l’International Literature Award in Germania diventano sempre più prestigiosi.
Così, gli arbitri del gusto non sono più i propri connazionali e, soprattutto, non costituiscono un gruppo di cui l’autore stesso fa parte. Bisogna convincere persone provenienti da altre culture.
Quali sono le conseguenze per la letteratura? Dal momento in cui un autore percepisce che il pubblico che raggiungerà il suo libro è internazionale anziché nazionale, la natura della sua scrittura è destinata a cambiare. In particolare, si nota una tendenza a rimuovere gli ostacoli che intralcerebbero una comprensione internazionale. Scrivendo negli anni Sessanta, Hugo Claus, intensamente coinvolto nella cultura e nella complessa situazione politica nazionale, sembrava non curarsi del fatto che i suoi romanzi richiedessero un particolare sforzo da parte del lettore e, soprattutto, del traduttore perché fossero compresi fuori dal suo nativo Belgio. Lo stesso varrebbe senz’altro per Gadda. Al contrario, autori contemporanei come il norvegese Per Petterson, lo svizzero Peter Stamm, l’olandese Gerbrand Bakker o, in Italia, Alessandro Baricco offrono libri che non presuppongono conoscenze particolari della cultura o della tradizione letteraria nazionale. E, soprattutto, la lingua deve essere semplice. Kazuo Ishiguro (Quel che resta del giorno), autore inglese di origine giapponese ha parlato dell’importanza di evitare giochi di parole e allusioni per semplificare il lavoro del traduttore. Certi scrittori scandinavi che conosco mi dicono che evitano di dare ai personaggi nomi che risulterebbero difficili per un lettore inglese.
Se la confusione propria della specificità culturale e il virtuosismo linguistico sono diventati impedimenti, altre strategie vengono invece viste positivamente: da un lato il dispiegamento di tropi ben evidenti e subito riconoscibili come «letterari» e «creativi», analoghi cioè alla scontata lingua franca degli effetti speciali del cinema contemporaneo; dall’altro l’enfasi su una sensibilità politica che pone l’autore tra coloro che «lavorano per la pace nel mondo». Così gli esasperati congegni fantasy di un Rushdie o di un Pamuk vanno sempre di pari passo con una certa posizione liberale perché, come una volta ha rimarcato Borges, la maggior parte della gente ha un così scarso senso estetico da dover ricorrere ad altri criteri per giudicare i libri che legge.
Destinato alla scomparsa, o almeno al dimenticatoio, è il tipo di opera che fruga nelle sottili sfumature della propria lingua e cultura letteraria, il tipo di scrittura che può attaccare o celebrare il modo in cui vive realmente questo o quel gruppo linguistico. Nel mercato letterario globale non ci sarà posto per nessuna Barbara Pym o Natalia Ginzburg. Shakespeare ci sarebbe andato più cauto con i giochi di parole. Una nuova Jane Austen può scordarsi il Nobel.

(Traduzione di Eleonora Gallitelli)