Poco prima delle 13 si sono radunati e hanno steso tappetini e teli nelle stradine della città vecchia accanto alla Spianata delle moschee, a Musrara di fronte la Porta di Damasco e in altre strade di Gerusalemme Est. Hanno ascoltato il sermone diffuso dagli altoparlanti di al Aqsa, infine hanno pregato. Erano gli eslcusi, migliaia di palestinesi maschi con meno di 50 anni di età ai quali la polizia israeliana ieri ha negato l’ingresso sulla Spianata. Volevano soltanto pregare, poi sono andati a casa. La “giornata di violenze” nella zona araba di Gerusalemme per la quale le autorità israeliane hanno mobilitato migliaia di agenti non c’è stata, come non pochi avevano previsto. Ristabilito lo status quo della Spianata e rimossi metal detector, barriere e gli altri dispositivi di controllo che Israele intendeva installare nel sito religioso, i palestinesi musulmani sono tornati a pregare pacificamente a Gerusalemme. Un dato che, assieme a ciò che è accaduto in queste due settimane, dovrebbe indurre una riflessione seria sull’occupazione di Gerusalemme Est e i luoghi santi nella città vecchia sotto il controllo di Israele.

Aver pensato di introdurre “novità” – dopo l’attacco armato del 14 luglio in cui tre arabo israeliani avevano ucciso due poliziotti – allo scopo, palese non solo ai palestinesi, di accrescere il controllo di Israele sulla Spianata e cominciare a modificare uno status quo che regna da 50 anni, è stato devastante. Alla fine persino un governo nazionalista e religioso, molto determinato, come quello in carica in Israele ha dovuto fare i conti con una realtà che si può modificare soltanto provocando un enorme bagno di sangue e innescando una reazione a catena in tutta la regione. In questi giorni anche i Paesi arabi che hanno rapporti ufficiali con Israele, come la Giordania, o dietro le quinte come l’Arabia saudita hanno dovuto prendere posizione a difesa del terzo luogo santo dell’Islam.

Di sangue comunque si è bagnata la terra anche ieri. La tensione di questi giorni a Gerusalemme ha raggiunto la Cisgiordania. Scontri tra soldati e dimostranti sono avvenuti nei pressi di Betlemme, Ram, Qalqilya, Hebron, Nablus. Tre feriti sono gravi. A Gaza, nei pressi delle linee di confine con Israele, all’altezza di al Burej, un ragazzo di 17 anni, Abdallah Abu Khamis, è stato ucciso dal fuoco dei soldati israeliani. Un altro giovane palestinese, Mohammad Kanaan, è morto in ospedale dopo un agonia durata quattro giorni. Era stato colpito da un proiettile alla testa durante incidenti a Hizma, alle porte di Gerusalemme Est. Ai suoi funerali ieri hanno partecipato duemila palestinesi. Un altro palestinese è stato ucciso allo svincolo stradale per le colonie ebraiche di Gush Etzion, tra Betlemme ed Hebron. La polizia israeliana ha riferito che Abdallah Taqaqta, 24 anni, ha cercato di pugnalare un soldato che ha reagito sparandogli. Invece un testimone palestinese, citato dall’agenzia di stampa Maan di Betlemme, nega che il presunto assalitore fosse armato con un coltello. Nel pomeriggio si è avuto qualche incidente anche nella città vecchia di Gerusalemme. E’ rimasto ferito anche il corrispondente della sede Rai di Gerusalemme Carlo Paris, colpito da una granata assordante lanciata dalla polizia alla Porta dei Leoni che gli ha procurato una ustione alla gamba destra. Paris, ricoverato in ospedale è stato dimesso poco dopo. Feriti anche il suo operatore tv israeliano e la producer palestinese (ieri sera ancora in ospedale).

Manifestazioni contro le politiche israeliane sulla Spianata si sono ripetute anche all’estero. Centinaia di giordani ieri hanno scandito slogan contro il governo Netanyahu ad alcune centinaia di metri dall’ambasciata israeliana ad Amman dove una settimana fa una guardia di sicurezza aveva ucciso due giordani, uno dei quali, secondo una ricostruzione, aveva tentato di colpirlo con un cacciavite. Ieri la Procura giordana ha formalmente accusato di omicidio e di possesso di arma da fuoco non autorizzata la guardia che però sarà processata in Israele, almeno così il premier Netanyahu ha promesso a re Abdallah di Giordania.