La sera del 17 maggio scorso, alle 21.15, l’Assemblea regionale della Corsica ha approvato a larga maggioranza (36 voti su 51) la coufficialità della lingua isolana. Per la prima volta il monopolio del francese, pietra angolare della repubblica transalpina, è stato messo in discussione.

Alcune ore prima, a New York, l’assemblea generale dell’Onu aveva adottato una risoluzione che inserisce la Polinesia francese sulla lista dei territori da decolonizzare. La Francia non aveva partecipato alla seduta. Naturalmente, questa novità è del tutto slegata dal voto di Ajaccio, ma bisogna tener presente che il movimento nazionalista isolano accoglie con favore tutto quello che limita la natura «imperiale» della Francia.

Diversamente dalle altre regioni francesi, la Corsica segue con particolare attenzione quello che accade nelle poche colonie residue dell’Esagono, forse perché si sente legata a queste da una certa fratellanza ideale. Quindi, è molto probabile che la notizia proveniente da New York sia stata commentata con soddisfazione dai consiglieri regionali che si accingevano a votare la coufficializzazione della lingua isolana.

Una promozione irritante

Il voto di Ajaccio non sarebbe stato possibile senza l’impegno certosino di Pierre Ghionga, responsabile regionale delle questioni linguistiche.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, Ghionga non è un autonomista, ma appartiene al Parti Radical de Gauche (Prg) di Paul Giacobbi, presidente della Regione. Questo conferma che il problema linguistico non è monopolio dei partiti locali, ma si è ormai radicato anche in quelli legati al potere centrale. La coufficializzazione della lingua corsa è il frutto di un processo istituzionale che è iniziato nel 2007, quando l’esecutivo regionale ha adottato all’unanimità un piano che prevedeva la promozione dell’idioma regionale. Questa intenzione è stata ribadita nella Carta della lingua corsa che è stata firmata il 15 febbraio da Paul Giacobbi e François Deluga, presidente del Centre national de la fonction publique territoriale (Cnfpt).

È molto probabile che il voto di Ajaccio venga invalidato dal Consiglio costuzionale: l’articolo 2 della Costituzione afferma che «la lingua della repubblica è il francese». Eppure, la questione presenta risvolti più complessi.

Soltanto pochi anni fa una legge come quella approvata ad Ajaccio sarebbe stata impensabile. Ma sono almeno 15 anni che il famigerato centralismo francese mostra qualche incrinatura. Lo dimostra il fatto che la situazione delle lingue minoritarie ha registrato qualche miglioramento: l’ottimismo sarebbe fuori luogo, ma sembra che qualcosa si stia muovendo.

Nel 1999 Chirac aveva firmato la Carta europea delle lingue regionali, che era stata approvata a Strasburgo alcuni anni prima. Una decisione sofferta, maturata dopo un lungo braccio di ferro che l’aveva opposto al Primo ministro Jospin, sostenitore del documento. L’adesione francese, che riguardava soltanto 39 dei 98 articoli che compongono il testo, era stata poi invalidata dal Consiglio costituzionale.

Il tradimento di Hollande

Occorre ricordare che Jospin aveva anche elaborato un piano per l’autonomia della Corsica, fortemente avversato dal ministro dell’interno Chevenement, che si era dimesso per protesta. La fine del mandato aveva impedito a Jospin di portare a termine il suo progetto.

In Francia la questione delle lingue minoritarie, pur essendo trascurata dalla stampa straniera, è tutt’altro che insignificante. Non solo perché almeno il 15% della popolazione (9 milioni di persone) parla anche una lingua diversa dal francese, ma soprattutto perché la tutela di questi idiomi presuppone una revisione costituzionale.
Nel 2008 le minoranze – Alsaziani, Baschi, Bretoni, Catalani, Corsi, Fiamminghi e Occitani – hanno intravisto uno spiraglio di luce: una revisione costituzionale ha stabilito che «le lingue regionali appartengono al patrimonio della Francia» (art. 75-1).

Mancava però una legge che lo attuasse: questo spiega l’attenzione per il programma elettorale di François Hollande, che prevedeva espressamente la firma della Carta europea già sottoscritta a suo tempo da Chirac. Ma nel marzo scorso il presidente ha affermato che non manterrà questo impegno. Il Consiglio costituzionale, replicando quanto aveva fatto con Chirac nel 1999, gli aveva ricordato che il documento europeo è incompatibile con la Costituzione.

Revoche e proteste

Se la decisione di Hollande ha deluso le aspettative di tutte le minoranze, in Corsica ha avuto un effetto particolarmente negativo, inserendosi in una situazione già tesa. Alla fine del 2012, infatti, Parigi aveva annunciato l’intenzione di abolire il regime fiscale particolare di cui l’isola gode da due pieni secoli.

Si tratta degli Arretés Miot, promulgati nel 1801, cioè pochi anni dopo l’annessione alla Francia. Questo regime fissa una serie di facilitazioni che include fra l’altro le imposte societarie, le licenze dei negozi e le tasse di successione. Dato che la Corsica è la regione più povera della Francia, questo statuto ha contenuto per due secoli le conseguenze di questa situazione svantaggiata.

Il 9 febbraio scorso, a Bastia, un corteo di ottomila persone hanno manifestato contro la revoca annunciata dal governo. Fra le persone che sfilavano c’era anche Edmond Simeoni, figura leggendaria dell’autonomismo corso, oggi settantanovenne ma ancora attivo e pieno di vitalità.

La coufficializzazione del corso e la difesa degli Arretés Miot sono temi molto diversi fra loro, ma questo non esclude che possano diventare oggetto di una trattativa congiunta. In ogni caso la situazione appare complessa: da una parte i problemi che attendono Hollande sono più intricati di quelli che un tempo sono stati affrontati da altri socialisti come Mitterrand e Jospin; dall’altra, almeno finora, l’attuale presidente non ha manifestato la tempra necessaria per gestirli.