«Ma perché?» Perché – chiede Mario (nome di fantasia) – «se la Corte costituzionale ha stabilito che è legale, a me viene invece vietato? Perché posso sottopormi alle cure palliative che mi uccidono lentamente e non posso invece prendere un farmaco letale? Qual è la differenza? Spiegatemelo». Ha reagito così, il signor Mario, – secondo il racconto riferito al manifesto dalla sua avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni che lo ha supportato – alla sentenza con la quale lo scorso 24 marzo (notificata lunedì) il Tribunale di Ancona ha respinto il suo ricorso contro l’Azienda sanitaria unica delle Marche che si è rifiutata di applicare il dispositivo della Consulta emesso in merito al caso Cappato/dj Fabo.

«PER ME QUESTA non è più vita, ma pura sopravvivenza. Per questo ho fatto la richiesta di accesso al suicidio assistito. E ho scelto di farla in Italia, per poter essere circondato dai miei affetti, fino alla fine», scrive in una lettera l’uomo, 42 anni, tetraplegico e in condizioni disperate e irreversibili. Mario ha tutti i requisiti richiesti dai giudici costituzionali per accedere alla procedura disposta con la sentenza 242 del 25 settembre 2019 che ha dichiarato illegittimo punire chi «agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».

MARIO VORREBBE solo che la sua Asl di riferimento verificasse le sue condizioni, adeguandosi a questa ordinanza emessa dalla Consulta dopo una prima disposizione (del settembre 2018) che dava tempo 11 mesi al Parlamento per colmare il vuoto legislativo in materia di eutanasia e suicidio assistito. «Ma nessun medico dell’Azienda sanitaria ha mai visitato Mario, quindi ha disatteso le verifiche previste dalla Consulta», denuncia l’avvocata Gallo, coordinatrice del Comitato dei giuristi per le libertà dell’Associazione Coscioni.

IL TRIBUNALE DI ANCONA però, pur riconoscendo al signor Mario tutti i diritti, afferma che «non sussistono motivi per ritenere che, individuando le ipotesi in cui l’aiuto al suicidio può oggi ritenersi lecito, la Corte (Costituzionale, ndr) abbia fondato anche il diritto del paziente, ove ricorrano tali ipotesi, ad ottenere la collaborazione dei sanitari nell’attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza». Né si può ritenere, secondo il giudice di Ancona, che la non punibilità dell’aiuto al suicidio implichi direttamente il sussistere di un nuovo diritto.

Filomena Gallo, che annuncia l’impugnazione del provvedimento concordato con lo stesso signor Mario, spiega invece che il diritto all’aiuto al suicidio è stato riconosciuto dagli stessi «Giudici della Corte Costituzionale che nella sentenza 242/19 hanno scritto al punto 7 del considerato in diritto». Nel punto citato, infatti, la Consulta precisa che «i requisiti procedimentali dianzi indicati (verifica della Asl e del Comitato etico, ndr), quali condizioni per la non punibilità dell’aiuto al suicidio prestato a favore di persone che versino nelle situazioni indicate», «valgono per i fatti successivi alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale». E invece per l’aiuto fornito a persone già suicidatesi, bisogna assicurarsi che «l’agevolazione sia stata prestata con modalità anche diverse da quelle indicate, ma idonee comunque sia a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti».

INSOMMA, SPIEGA l’avvocata Gallo, nella sentenza «la Corte costituzionale si pronunciava non solo sul caso concreto dell’aiuto fornito da Marco Cappato a Fabiano Antoniani» accompagnandolo in Svizzera dove ha potuto essere assistito durante il suicidio, «ma anche, in assenza di un intervento legislativo da parte del Parlamento, integrava l’ordinamento con una specifica regolamentazione alla luce delle norme in vigore che stabiliva come e chi poteva accedere alla morta assistita in Italia».

L’associazione Coscioni sta seguendo altri due casi di persone che si sono viste opporre un diniego alla richiesta di aiuto al suicidio. In quei casi «il Comitato etico – conclude Gallo – ha rilevato che le Asl non hanno effettuato le verifiche». A questo punto, per far rispettare le sentenze della Corte costituzionale, sarebbe auspicabile almeno un intervento del ministro della Salute.