È attesa al posto di frontiera internazionale di «Shebekino-Pletenevka», nella regione di Belgorod, la colonna di camion con gli aiuti umanitari russi per gli abitanti del sud-est dell’Ucraina. Lo stesso posto di frontiera che, secondo un lancio pomeridiano di Itar-Tass, sarebbe stato chiuso unilateralmente dalle guardie ucraine senza informarne la parte russa.
Secondo notizie diffuse da Ntv Novosti, il convoglio aggirerà la città di Belgorod – sul fiume Donets, che tocca poi nel suo corso, per l’appunto, le regioni indipendentiste ucraine di Donetsk e Lugansk – senza attraversarla. La Russia, stando a quanto dichiarato dal capo della diplomazia di Mosca Sergej Lavrov, avrebbe concordato l’invio degli aiuti con Croce rossa internazionale, Osce, Onu e tenendo conto delle indicazioni ucraine su controlli e percorso della colonna; a bordo dei mezzi ci sarebbero infatti anche rappresentanti di Croce rossa, OSCE e delle autorità ucraine. Nonostante ciò, ancora ieri il governo di Kiev, per bocca del vice responsabile dell’amministrazione presidenziale Valerij Chalij, dichiarava che i camion verranno fermati alla frontiera ucraina, il loro carico sdoganato e trasferito su mezzi ucraini.
In ogni caso, ancora nella serata di ieri, le dichiarazioni ufficiali apparivano, quantomeno, contrastanti. Da un lato Kiev, attraverso il Dipartimento di stato americano, faceva sapere di essere pronta ad accogliere a Lugansk gli aiuti umanitari russi, dopo che la Croce rossa internazionale aveva confermato di aver ricevuto l’elenco completo – tra l’altro: acqua, generi alimentari, medicinali, generatori e altri prodotti di prima necessità. D’altro canto, il ministro degli interni ucraino Arsen Avakov dichiarava in rete che alla colonna non sarebbe stato consentito passare per la regione di Kharkov, sottolineando che le sue parole erano da considerarsi ufficiali. E ancora, in giornata, il rappresentante del Consiglio nazionale di sicurezza e di difesa Andrej Lysenko, aveva sottolineato che l’Ucraina avrebbe garantito la sicurezza del convoglio fino alla destinazione finale; in ciò confermando quanto espresso alla vigilia in una nota indirizzata dal ministero degli esteri ucraino a quello russo, in cui si esplicitava la disponibilità ad accogliere gli aiuti, secondo uno schema concordato.
Intanto in serata giungeva la notizia secondo cui nei dintorni di Donetsk, nel corso di aspri combattimenti, sarebbe rimasto ferito in modo grave il ministro della difesa della Repubblica di Donetsk Igor Strelkov. Le aree attorno ai due capoluoghi regionali di Donetsk e Lugansk – le regioni autoproclamatesi indipendenti dal governo golpista di Kiev – sono quelle in cui più intensamente si concentra il tiro delle artiglierie governative, anche sui rioni civili. Ma, a più riprese, il primo ministro della Repubblica di Donetsk Aleksandr Zakharcenko ha smentito la notizia del completo accerchiamento della città, dichiarando che per inizio autunno le milizie saranno in grado di passare all’offensiva; l’esercito ucraino, ha detto, ha il morale completamente a terra. Zakharcenko ha anche ripetuto di essere pronto a un cessate il fuoco nell’area di Lugansk, per permettere il transito degli aiuti umanitari.
Nelle stesse ore, veniva diffuso un video successivo a uno scontro a fuoco nel corso del quale le milizie di Donetsk avevano ucciso 12 militanti del gruppo neonazista «Pravyj sektor» i quali, a bordo di un miniautobus proveniente dall’area di Zaporozhe, cercavano di forzare un posto di blocco. Il comandante del drappello di autodifesa ha dichiarato che «questa è la sorte di tutti coloro che cercano di invadere la mia terra per uccidere i nostri… possiamo ben definirli … soldati: persone che hanno lasciato il lavoro e hanno imbracciato le armi per difendere le proprie case». La stessa sorte sembra fosse toccata ad altri 15 combattenti di “Pravyj sektor”, eliminati nella zona del rione Petrovskij di Donetsk.
Secondo fonti Onu, ogni giorno nel sud-est ucraino, non meno di 70 persone rimangono uccise o ferite. Solo nelle ultime due settimane il numero delle vittime è raddoppiato – 1.129 morti a fine luglio; oltre 2.000 oggi – a testimonianza dell’inasprimento dei combattimenti.