«Cosa dovrei commentare, il fatto che la Tav si farà?» in un impeto polemico, prima di sottrarsi al microfono, un parlamentare grillino si fa sfuggire un lapsus sul clima che circola tra i 5 Stelle attorno alla grande opera in Valle di Susa. Prima le ammissioni di Laura Castelli, deputata piemontese e sottosegretaria all’economia, sulla possibilità che si approdi a una versione soft dell’Alta velocità e poi gli attacchi di Marco Ponti sulla mortificazione dell’analisi costi-benefici da lui coordinata, hanno riscaldato il clima. Non è un mistero che una parte dei grillini, quella più pragmatica e desiderosa di non far cadere il governo, abbia messo in conto che l’opera debba farsi. Coi rapporti di forza usciti dalle europee e dalle regionali piemontesi, è il ragionamento inconfessabile, questo è uno dei temi sui quali si può trattare e cedere alla Lega.

Ieri, dopo che Ponti ha di nuovo attaccato il governo paragonandolo a quelli precedenti, dal ministero delle infrastrutture di Danilo Toninelli sono trapelate alcune indicazioni di metodo che entrano nel merito della faccenda. La prima: «L’analisi costi-benefici è uno strumento utilissimo in supporto del decisore politico, che deve fare le scelte migliori e valutare se conviene o meno realizzare una data infrastruttura». Il riconoscimento del ruolo di Ponti contiene un’ammissione inedita: la decisione sulla Tav non può essere solo «tecnica». Tanto che lo stesso Ponti, fresco di nomina, aveva dovuto precisare che la sua analisi avrebbe offerto elementi di chiarezza ma che in ultima istanza doveva essere la politica prendersi le sue responsabilità. Dicono adesso dal ministero: «Affiancando all’analisi costi-benefici un’analisi giuridica bisogna tenere conto delle leggi, degli atti pregressi, dei vincoli contrattuali, dello stato di avanzamento di determinati lavori». Toni tutt’altro che belligeranti, quando non decisamente prudenti.

Nei giorni scorsi il senatore Alberto Airola, torinese da sempre vicino ai No Tav, ha ribadito la sua fedeltà alla linea delle origini e agli studi del professore Ponti: «C’è un’analisi costi-benefici e un contratto che dice che se non conviene non si fa – ha detto Airola – Non tradirò i No Tav». Poi ha pronunciato parole dure verso Toninelli: «C’è ancora più di una via d’uscita. Di fatto mi fido più del presidente Conte che di Toninelli e soci, cercherò di fare correggere anche il decreto sicurezza bis che influisce sul controllo dei cantieri considerati strategici». Anche Di Maio ieri ha passato la palla a Conte. Toccherà a lui fare sintesi. È difficile che una linea dettata dalla realpolitik e dalla necessità di andare avanti con il governo non produca conseguenze dentro al M5S. A partire dalla giunta torinese di Chiara Appendino. Almeno tre consiglieri grillini lascerebbero immediatamente il M5S, facendo venire meno la maggioranza, se si dovesse arrivare alla rottura coi No Tav. Sarebbe clamoroso per la storia e l’identità dei 5 Stelle. Un fatto difficile da relegare a vicenda locale.