Stavolta Il Cairo lo dice subito: potrebbe trattarsi di terrorismo. Se per l’Airbus russo abbattuto il 31 ottobre il presidente al-Sisi ha impiegato mesi prima di ammettere la matrice terrorista, ieri i vertici egiziani lo hanno messo subito sul tavolo. L’Airbus 320 della compagnia EgyptAir, sprofondato nel mar Mediterraneo all’alba di ieri, è probabilmente precipitato per una bomba a bordo.

Dell’aereo – decollato dall’aeroporto de Gaulle di Parigi poco prima della mezzanotte e diretto al Cairo – si sono perse le tracce alle 2.26. Quattro minuti dopo le autorità aeroportuali egiziane hanno tentato invano di entrare in contatto con l’Airbus.

A bordo c’erano 66 persone: 56 passeggeri, 7 membri dell’equipaggio e 3 uomini della sicurezza. È stato il ministro della Difesa greco Kammenos a descrivere gli ultimi movimenti del veivolo: alle 2.39, poco dopo essere entrato nello spazio aereo egiziano, ha virato di 90 gradi a sinistra e poi di 360 a destra. Bruschi cambi di rotta che hanno preceduto la caduta da 11mila metri di altezza.

Dubbi restano sul presunto Sos lanciato dal pilota: secondo la EgyptAir un segnale di allarme è stato inviato alle 2.26, ma l’esercito egiziano nega. Concordano invece su un altro Sos partito alle 4.26, segnale probabilmente lanciato in un automatico dal trasponder. Poi il ritrovamento: relitti dell’aereo sarebbero stati individuati a 370 km a sud di Creta ma oggetti metallici e salvagenti sono riemersi vicino l’isola di Karpathos a ovest di Creta.

Intanto il ministro dell’Aviazione egiziano Fathy aveva dato voce ai timori comuni: «La possibilità di un attentato è più alta di quella di un errore tecnico. Stiamo ricevendo informazioni che tendono a farci considerare questa ipotesi». La rapidità con cui l’Airbus è scomparso dai radar e l’assenza di un Sos fanno immaginare che tutto si sia svolto in pochi attimi: l’avaria e l’errore tecnico avrebbero dato tempo all’equipaggio di intervenire.

Il procuratore generale egiziano Sadeq ha subito aperto un’inchiesta. Nelle stanze dei bottoni del Cairo, però, a regnare era la confusione: mentre il presidente al-Sisi si riuniva con il Consiglio di Sicurezza Nazionale per supervisionare le ricerche, i suoi ministri davano versioni differenti. Mentre quello degli Esteri Shoukry offriva condoglianze alle famiglie delle vittime «per la caduta dell’aereo», quello dell’aviazione Fathy si rifiutava di parlare di schianto. Alla fine ha capitolato e in conferenza stampa ha messo al primo posto delle possibili cause un attacco terroristico.

Le prime speculazioni si fanno ormai concrete: scartata l’ipotesi di un missile terra-aria (l’altitudine a cui volava l’Airbus e la lontananza dalla costa la rendono impossibile), resta quella di un ordigno a bordo, eventualità che chiama in causa i controlli negli aeroporti visitati, Asmara, Il Cairo, Tunisi e Parigi. «È possibile che si sia trattato di una bomba posta sull’aereo prima, in un altro aeroporto come nel caso di Lockerbie – dice all’agenzia Middle East Eye l’ex investigatore britannico Phil Giles – A Parigi i controlli di sicurezza sono molti alti». E sono diventati ancora più stringenti dopo gli attacchi dello Stato Islamico nella capitale francese del 13 novembre.

Sinai cuore dell’instabilità egiziana

Di certo c’è molto di simbolico nella tratta dell’Airbus: Parigi-Il Cairo, due capitali e due paesi tra i più colpiti negli ultimi mesi dal terrorismo di matrice islamista. La Francia sconta decenni di marginalizzazione delle seconde e terze generazioni di migranti africani, figli di popoli colonizzati e mai realmente integrati nel paese.

L’Egitto affronta da tempo l’emergenza terrorismo nella Penisola del Sinai: zona dimenticata da investimenti nazionali e piani di sviluppo (ma non dallo stato di emergenza che regala ancora più autorità all’esercito egiziano), è qui che operano gruppi islamisti legati più o meno direttamente all’Isis. Come il suo braccio egiziano Ansar Beit al-Maqdis, attivo dal 2011 con circa 1.500 membri e cellule anche al Cairo e Giza, protagonista di attacchi continui contro le forze di sicurezza: solo a marzo il gruppo ha compiuto almeno 31 attentati in Sinai.

E solo sei mesi fa l’Airbus russo della Metrojet si disintegrava in aria nel nord del Sinai: i 224 passeggeri uccisi da una bomba a base di esplosivo C-4 dentro una lattina di Schweppes, rivendicata dall’Isis e messa in bella mostra sul mensile Dabiq, hanno spinto Mosca a sospendere a tempo indeterminato i voli su Sharm el-Sheikh, aeroporto di partenza dell’Airbus.

Turismo in caduta libera

Se Il Cairo sa sfruttare a dovere la minaccia islamista per ottenere denaro, armi e impunità dall’Occidente, l’altra faccia della medaglia pesa sulle spalle sul popolo egiziano. Da mesi il settore turistico vive una crisi con pochi precedenti: gli stranieri hanno paura e le stradine del Cairo e i resort sul Mar Rosso si sono svuotati. Scene surreali per un paese un tempo preso d’assalto dal turismo di massa: se fino ad ottobre 2015 il numero di visitatori stranieri era di circa 900mila al mese (comunque in calo rispetto al passato quando si toccarono picchi di 15 milioni di persone l’anno), oggi se ne contano 350mila.

Un crollo che toglie risorse ad oltre un milione di famiglie: negli ultimi 10 anni il settore turistico ha garantito entrate pari all’11% del Pil, una media di 12 miliardi di dollari l’anno e un tasso di occupazione intorno al 12%.