Si brancola nel buio: non ci sono certezze sulle cause dello schianto nel mar Mediterraneo dell’Airbus 320 dell’EgyptAir, inabissatosi all’alba di giovedì mentre volava da Parigi al Cairo. Dopo le prime speculazioni che facevano propendere per una bomba a bordo, le autorità egiziane e francesi non si sbilanciano più. A frenarle è l’assenza totale di rivendicazioni da parte di un qualsiasi gruppo terrorista, che si tratti dello Stato Islamico (come accaduto con l’aereo russo della MetroJet a novembre) o di al Qaeda.

«Nessuna credibile o semicredibile assunzione di responsabilità» è stata mossa, dice all’Ap l’esperto di movimenti jihadisti Shiraz Maher, del Centro internazionale per lo Studio della Radicalizzazione. Al contrario l’Isis ha pubblicato ieri un video di 20 minuti sui piani di conquista dell’India: «Se fossero coinvolti, sarebbe molto stupido mandare online quel video invece che vantarsi per lo schianto [dell’Airbus]».

Se è vero che le rivendicazioni non sono sempre immediate, per una simile operazione ci si aspettava qualcosa di più di qualche tweet di giubilo di sostenitori del sedicente califfato. Sui forum più noti della comunità jihadista globale a rimbombare è il silenzio, mentre nella lista dei passeggeri sulla tratta Parigi-Il Cairo non è stato individuato nessun nome che rimandi a liste nere internazionali.

Resta l’ipotesi della bomba posizionata a bordo nei voli precedenti (Asmara, Il Cairo, Tunisi), non individuabile perché i controlli dentro i veivoli vengono condotti dalle compagnie aeree. O quella del kamikaze, che sarebbe però dovuto entrare con dell’esplosivo nel blindatissimo aeroporto De Gaulle.

A far propendere per l’attentato è la modalità con cui l’Airbus ha perso quota: in soli 10 minuti ha virato di 90 gradi, ha fatto un giro completo su se stesso ed è poi precipitato da un’altitudine di 11mila metri a 4500 prima di finire in mare. Difficile che un’avaria o un errore umano possano aver provocato una caduta così repentina, che non ha lasciato all’equipaggio il tempo di intervenire o lanciare un Sos.

Buio pesto che si fa ancora più grave dopo le previsioni degli esperti di aviazione: ci vorranno settimane, se non mesi, per ripescare il relitto. Tempi che potrebbero essere troppo lunghi: le scatole nere più vecchie hanno batterie in grado di resistere per 30 giorni, quelle nuove per 90. E l’Airbus dovrebbe trovarsi a 3mila metri di profondità. Ieri, però, qualcosa è riemerso: la marina egiziana ha recuperato un resto umano, due sedili, alcune valigie. Effetti personali dei passeggeri e parti del relitto sono stati trovati 290 km a nord di Alessandria, mentre l’Agenzia Spaziale Europea individuava chiazze di olio a sud di Creta.

Alle ricerche partecipano Francia, Grecia, Gran Bretagna, Grecia, Cipro e Italia. Ieri mattina sono giunti al Cairo tre investigatori francesi e un esperto di Airbus, mentre la EgyptAir ha creato una commissione di inchiesta. Nessuno però parla più delle possibili cause: se ieri dal Cairo era stata subito messa in gioco l’ipotesi terrorismo, ora si opta per la cautela. Il presidente egiziano al-Sisi, ieri, ha assicurato al paese che le ragioni dello schianto saranno chiarite. Non mancano le pressioni francesi: il governo di Parigi ha chiesto al Cairo massima trasparenza nelle indagini congiunte.

Sulle spalle dell’Egitto pesa l’ennesima tragedia che non aiuterà il paese a rialzarsi dalla crisi economica in cui è invischiato: nonostante l’acquisto continuo di armi e il lancio di progetti faraonici che indebiteranno la nazione per decenni, l’economia egiziana gode di cattiva salute: il deficit interno è raddoppiato da giugno 2015, toccando i 9 miliardi i dollari, e l’elevato tasso di disoccupazione e l’atavico gap tra centro e periferia sono una costante da anni.

Se il popolo ha cacciato Mubarak al grido di “pane e libertà”, da Piazza Tahrir in poi nessuno dei governi che si sono succeduti ha effettivamente lavorato alla redistribuzione della ricchezza. Gli attacchi dello Stato Islamico in Sinai e gli incidenti aerei – tre in sei mesi – fanno scappare la sola stabile fonte di ricchezza: il turismo. Se fino al 2015 rappresentava l’11% del Pil, oggi non arriva al 3,5%.