Quanti sono gli annunci commerciali su Airbnb in Italia? Airbnb sostiene di non riuscire a distinguere tra annunci di attività imprenditoriali e quelli di privati che affittano una stanza o la casa per arrotondare, e rifiuta di pubblicare i dati.

Ma la distinzione è fondamentale per capire il suo impatto sulle città, oltre che obbligatoria per legge.

IN ITALIA, IL TERZO MERCATO mondiale di Airbnb, gli affitti brevi turistici sono proliferati senza regole negli ultimi anni, e le città sono diventate parchi-gioco per turisti. Nei centri storici delle principali città quote significative dello stock abitativo sono su Airbnb. Si va dall’8% a Roma al 18% a Firenze, secondo uno studio recente dell’Università di Siena. L’impatto di Airbnb sul mercato residenziale è dato dall’alto numero di host commerciali che affittano più alloggi per lunghi periodi, togliendo case al mercato residenziale.

Così utilizzata la piattaforma è uno strumento di concentrazione dei profitti – circa due terzi del totale, secondo lo studio dell’Università di Siena – nelle mani di pochi che gestiscono molti annunci, perlopiù per interi appartamenti.

CON DATI ESTRATTI da Inside Airbnb è possibile stimare il numero di annunci commerciali nelle principali città italiane in base al tasso di utilizzo. Prendendo a modello i parametri adottati da molte città europee e dall’amministrazione di San Franscisco, che per prima ha studiato l’impatto di Airbnb con dati di Inside Airbnb, un annuncio è definito commerciale in base al tasso di utilizzo con una soglia di 60 giorni nell’arco dell’anno.

Elaborazione grafica Costanza Fraia

UN ALTRO INDICATORE del tipo di attività su Airbnb è il numero di alloggi affittati da ogni host. Insieme a questi dati, in grafico/tabella sono riportati il totale di annunci Airbnb e la percentuale di appartamenti interi. I dati sono pubblici sul sito di Inside Airbnb.
In Italia, dove regolamentare un fenomeno significa perlopiù tassarlo, l’intervento del governo nei confronti di Airbnb si è finora limitato all’introduzione di una flat-tax, la cedolare secca sugli affitti brevi non imprenditoriali inferiori a 30 giorni.

UNA MISURA che rischia di favorire ulteriormente la concentrazione di profitti nelle mani degli host commerciali. Airbnb ha fatto ricorso e nonostante il no del Consiglio di Stato ha omesso di versare 130 milioni di imposte. Secondo il direttore generale di Federalberghi Alessandro Nucara «non si comprende per quale ragione non siano ancora scattate le sanzioni».

Un decreto attuativo, da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore delle legge fiscale, avrebbe dovuto definire i criteri, quali il numero di alloggi e la durata della locazione, in base ai quali identificare le locazioni imprenditoriale, da far rientrare tra le strutture ricettive. Del decreto, sollecitato a febbraio in conferenza stato-regioni, non si ha notizia.

MOLTE CITTÀ EUROPEE hanno regolamentato gli affitti brevi non commerciali con un tetto massimo di giorni di attività e di numero di alloggi per host – limitando l’affitto di case intere a quelle dove l’host è residente – il rilascio (o meno) di permessi anche in base alla concentrazione di attività ricettive, un sistema di registrazione sulle piattaforme comprensivo del numero di licenza, l’obbligo per le piattaforme di fornire i dati.
IN OGNI CASO, AIRBNB ha tempo fino a fine agosto per presentare delle proposte alla Commissione Europea per adeguarsi alle normative europee in materia di concorrenza e tutela dei consumatori.
Tra i punti da correggere, la mancata distinzione tra host privati occasionali e attività imprenditoriali.