La turistificazione delle città è la realtà dell’economia italiana. Così come i dati sono il nuovo petrolio del capitalismo estrattivo, quello digitale, il turismo è la sostanza primaria della speculazione sul patrimonio culturale nelle città d’arte e, più di recente, nei borghi e delle cosiddette «aree interne».

Le caratteristiche strutturali dello sviluppo di un’economia industriale basata sulla grande e, soprattutto, sulla piccola-media impresa dei distretti – l’incapacità delle imprese di collocarsi in settori tecnologici di avanguardia, un mercato tendenzialmente monopolistico, la sordità della politica che non ha recepito le istanze più avanzate per vivere un’esistenza dignitosa – sembrano un ricordo. In un clima di sfiducia radicale, il paese è stato trasformato nella fabbrica del turismo di massa, mentre la sua economia si è adattata a un mercato del lavoro fondato sulla precarietà occupazionale, i bassi salari e il lavoro gratuito, un tasso di occupazione stabilmente peggiore rispetto ai livelli medi europei. In questa cornice la crisi sociale e di reddito del ceto medio sembra avere trovato una soluzione tampone, e di successo, nel turismo mediato da una delle piattaforme digitali più potenti del nuovo capitalismo: Airbnb.

Fondata in California nel 2008, la piattaforma di Brian Chesky, Nathan Blecharczyk e Joe Gebbia conosce nel nostro paese un boom che, in proporzione, ha pochi uguali nel mondo. Airbnb ha creato una nuova categoria di alloggi in affitto, gli affitti a breve termine, che colma una lacuna tra gli alloggi residenziali in affitto e l’ospitalità alberghiera. Airbnb non è l’unico operatore del settore, ma è senz’altro il principale intermediario di servizi attraverso il sistema peer-to-peer che permette l’incontro tra il turista e il proprietario di casa attraverso pc, smartphone e tablet. Già nel 2015 l’Italia era il terzo mercato al mondo per numero di annunci: 83 mila «host» e 3,6 milioni di visite all’anno sulle pagine. Il boom è avvenuto nel corso dei mille giorni del governo Renzi. Al netto di altre catastrofi, questa esperienza sarà ricordata per la sua acritica adesione alla propaganda digitale dell’ideologia californiana, quel mix di contro-cultura hippie, innovazione tecnologica e suggestioni manageriali.

«La grandezza di Airbnb sta nella sua capacità di agire come moltiplicatore di luoghi d’arte» disse il ministro della Cultura Dario Franceschini nel 2016. Questo tecno-entusiasmo ingenuo ignora il dibattito sulle conseguenze degli affitti brevi sulle città , sulla precarietà abitativa e sulla trasformazione di interi quartieri in cattedrali del consumo e dell’intrattenimento mordi e fuggi. Resta ancora poco indagata nel nostro paese la contraddizione politica tra gli accumulatori seriali di affitti, l’«auto-imprenditorialità» di chi vede nell’affitto digitale low cost ai turisti una soluzione tampone alla mancanza di reddito e la moltiplicazione della precarietà urbana. Italia fabbrica del turismo, l’inchiesta contenuta nell’edizione odierna di Alias, è un contributo alla riflessione su un diritto alla città alternativo.