Giorgio Airaudo, dopo una legislatura in parlamento lei è tornato all’ovile della Fiom con l’incarico di segretario regionale del Piemonte ed l’unico sindacalista odierno ad aver trattato dall’inizio con Sergio Marchionne. Come lo paragona a Tavares?
Il primo discorso di Tavares è incredibilmente assonante con quello di Marchionne, pur in periodo storico molto diverso: sono passati 15 anni, un’era per l’industria dell’automobile. L’assonanza c’è sopratttutto sul fatto che il problema della fusione non è il costo del lavoro su unità di prodotto: Tavares parla dell’8 per cento, Marchionne parlò del 9%. In più anche Marchionne si pose a suo tempo l’obiettivo di risparmiare sui costi dell’approvvigionamento dei fornitori dell’allora Fiat. Tavares ha lo stesso proposito quando dice di voler intervenire sull’80% dei costi di fornitura.

Il segretario della Fiom Piemonte Giorgio Airaudo

Quindi se Tavares e Marchionne hanno detto le stesse cose c’è il rischio che fra qualche anno anche il manager francese abbia una svolta autoritaria…
No, non necessariamente. Io penso che Stellantis abbia una dimensione globale molto più ampia rispetto a quella di Marchionne con la Fiat che «rischiava di portare i libri in tribunale», come disse Berlusconi ai manager Fiat prima del suo arrivo. Tavares è un manager di successo in Europa che aveva bisogno di acquisire il mercato americano – Nord e Sud – e poi devono tutti e due scommettere sull’Asia dove entrambi contano molto poco, siamo all’1%.

Secondo me la grande differenza sta nella frase di Tavares nella prima conferenza stampa: «Io sono faccio questo lavoro da 40 anni» mentre Marchionne non si era mai occupato di auto.
Certo, assolutamente: Marchionne non era un uomo di prodotto, Tavares lo è. I due uomini hanno una storia molto diversa. Detto questo, credo che il sindacato debba sottolineare la rassicurazione di Tavares sugli stabilimenti italiani per lavorarci perché l’errore con Marchionne fu delegare a lui tutto il problema dell’auto in Italia. Oggi abbiamo il socio italiano in inferiorità e quindi sarebbe un errore limitarsi a festeggiare l’assicurazione. Notata l’assonanza, tutto il resto è diverso.

Al momento dell’annuncio della fusione Psa-Fca, il professor Berta disse al manifesto che lo stabilimento più a rischio era Mirafiori perché i francesi sono molto più avanti sull’elettrico e avrebbero portato le loro piattaforme. Come ha ritrovato Mirafiori?
Mirafiori è il più grande stabilimento per estensione in Europa, in gran parte inutilizzato nonostante il maquillage di Marchionne – l’apertura dell’area vendita, l’asilo, il museo del Lingotto – ed è ancora lì che aspetta la sicurezza che il referendum di 10 anni fa prometteva. A quel tempo nella carrozzeria c’erano 5.600 addetti, votarono 5.100 e il referendum non ebbe la maggioranza alle catene di montaggio ma nello stabilimento passò grazie all’80% di sì dei 440 impiegati. Il referendum promise che, in cambio della rinuncia ai diritti, sarebbero arrivati moltissimi modelli. In questi dieci anni i lavoratori hanno fatto tantissima cig e ora sono 2.700 lavoratori a cui, per correttezza, vanno aggiunti i 1.400 della Bertone, oggi Maserati. Un terzo sono andati via ma l’età media è sempre alta: 53-54 anni. Mirafiori è lo stabilimento che da Stellantis deve ricevere di più: la 500 elettrica – in questi giorni ci sono voci in fabbrica di discese di volumi – e il Levante Maserati non riescono a coprire tutti. Bisogna che Stellantis sia incalzata dal governo italiano per avere più investimenti del piano Marchionne che è stato allungato nel tempo perché ritardato.

Come riuscirci? Lo Stato dovrebbe entrare nel capitale come chiede anche Prodi per pareggiare il ruolo dei governo francese che ha un membro nel Cda?
Questa discussione andava fatta un anno e mezzo fa, oggi è una discussione di retroguardia. Abbiamo assistito alla più grande fusione fra gruppi privati in Europa in modo passivo. John Elkann tentò un matrimonio alla pari con Renault e fu il governo francese a dire di no proprio per questo. Il secondo matrimonio con Psa è molto francese ed è stato favorito dal governo che è presente nel capitale: tutta la prima linea di manager nominati da Tavares in Fca viene d’oltralpe. Entrare nel capitale adesso significherebbe solo acquisire azioni del socio minoritario e in qualche modo ridurre i rischi del socio privato Exor, la cassaforte della famiglia Agnelli.

Sì è scelto di fare un prestito a Fca Italy da 6,3 miliardi tramite Cassa depositi e prestiti. Senza chiedere garanzie.
Le garanzie sono rispetto al vecchio piano Marchionne. Fossi nel governo italiano mi orienterei in tutt’altra direzione con una discussione di sistema per favorire la produzione di auto, sapendo che ad oggi le auto di modello A (quelle che una volta si chiamavo utilitarie) sono fatte prevalentemente fuori dall’Europa e le auto di segmento di B, come alcune Alfa, saranno tutte destinate alla Polonia: per la prima volta una Alfa sarà prodotta fuori dall’Italia. Allora sarebbe necessario, come dice Landini, un governo che discute con Tavares anche di Recovery Plan e di come favorire la produzione di auto in Italia.

Torniamo alla famiglia Agnelli che ha subito incassato da Psa il maxidividendo da 830 milioni: molti pronosticano che nei prossimi anni uscirà dall’auto.
Hanno guadagnato tutto il tempo che vogliono. Mi sembra che anche la questione Iveco con i cinesi finirà in questo modo: Exor sceglie di partecipare ma di non avere più una posizione operativa, niente più responsabilità di ricapitalizzare. Hanno ridotto il loro rischio. Si sta completando l’evoluzione della famgiglia Agnelli da industriali a finanzieri. Credo che riguarderà anche altri settori. Forse l’unica cosa che resterà fuori da questa diluizione sarà la Ferrari, ‘ché a gestirla non serve molto.

Negli anni ’50 Macaluso lasciò temporaneamente il Pci per la Cgil e disse che lì si sentiva più libero. Anche lei dopo l’esperienza parlamentare si sente allo stesso modo?
Il paragone è ingeneroso verso Macaluso, ovviamente. Parliamo di giganti, noi – come si dice – al massimo sediamo sulle loro spalle. Io penso che i sindacalisti siano sempre stati più liberi dei politici. Oggi hanno un vantaggio in più rispetto alla mia breve e circoscritta esperienza politica: hanno un corpo sociale a cui rispondere, oggi la politica, lo vediamo in questi giorni, è autoreferenziale, segue solo i sondaggisti. E per questo i lavoratori avrebbero diritto ad una democrazia diretta perché il sindacato tratta le loro condizioni di vita. Sono contento di essere ritornato al sindacato perché sono tornato alla realtà, sono uscito dalla vasca dei pesci.