Dopo avere salutato il «Jobs Act» di Matteo Renzi come «un’iniziativa che affronta la vera priorità del paese: il lavoro», Giorgio Airaudo, ex responsabile auto della Fiom e oggi deputato di Sinistra Ecologia e Libertà, non nasconde perplessità e critiche su quello che sembra essere l’impianto ideologico dei titoli proposti dal segretario del Partito Democratico: «Renzi deve chiarire se e come vuole cancellare la pletora dei contratti precari esistenti, in parte utilizzati, che hanno frammentato il mercato del lavoro e la storia di donne e uomini – afferma Airaudo – Se l’idea è sostituirli con un contratto di inserimento, allora bisogna fare chiarezza.Torniamo a parlare in italiano. Non esistono contratti senza diritti.

Questo significa una sola cosa: dopo il periodo di prova ci dev’essere un contratto a tempo indeterminato.

A quanto pare è un’ipotesi esclusa in partenza…

E invece è proprio questo il punto. La libertà di licenziamento non ha mai creato posti di lavoro. Faccio notare che anche in questo periodo di prova di cui si parla vanno garantiti i diritti fondamentali a partire da quelli contro le discriminazioni di razza, religione, genere o opinione. Oggi il problema non è sospendere l’articolo 18, già reso impotente dal governo Monti. Il problema è ricostruire i diritti per intere generazioni che non conoscono i diritti. Dopo vent’anni di precarizzazione, non c’è più niente da togliere al lavoro.

La libertà degli imprenditori è l’unica a creare lavoro come sostiene Renzi?

Se Renzi pensa di affrontare il problema epocale della disoccupazione, in Italia e in Europa, semplicemente favorendo l’offerta del lavoro, allora sbaglia. Se ci saranno investimenti esteri, ben vengano, a condizione di creare le condizioni di sistema con un’efficace lotta contro la corruzione. Ma ricordo che anche il governo Monti ha detto la stessa cosa, ma a me non risulta ci sia stato alcun investimento. In compenso ci sono stati molti licenziamenti. Questa impostazione non considera una contraddizione molto pragmatica. In Italia ci sono 9 milioni persone in povertà relativa e 4 milioni che non raggiungono 1033 euro al mese. Non esiste impresa privata, per quanto incentivata, che possa assorbirli in tempi ragionevoli.

Esiste un’alternativa?

L’intervento diretto dello Stato, quello che stanno facendo, direttamente o indirettamente, in altri paesi. Insieme alle semplificazioni burocratiche, al taglio dell’Irap alle imprese o del costo dell’energia già previste, lo si deve ripristinare prima possibile. Sel ha presentato una proposta di legge con copertura finanziaria per intervenire sul patrimonio pubblico, beni culturali, edilizia scolastica, piccoli cantieri e promuovere un «New Deal» italiano.

Tutto questo è possibile in un’Europa che esclude l’intervento statale?

Bisogna cambiare le regole. La proposta di modificare il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil va nella direzione di una modifica del patto di stabilità. L’occasione per proporre una strategia complessiva è il semestre italiano a guida dell’Unione Europea. Nelle condizioni in cui ci troviamo, gli investimenti non dovrebbero essere considerati come aiuti di stato, se creano posti di lavoro.

Nel «Jobs act» il sussidio universale contro la disoccupazione resta un’idea molto vaga. In che modo lo si dovrebbe applicare?

Dev’essere un provvedimento universale che istituisca un reddito di cittadinanza, non contrapponga reddito e lavoro e sia coerente con il dettato costituzionale sulla dignità dei lavoratori. Bisogna superare tutte le distinzioni ideologiche.

Come si finanzia?

Yoram Gutgeld, il consigliere economico di Renzi, sostiene che l’esercito israeliano costa meno di quello italiano ed è ben più potente. Si inizi allora con il taglio alle spese militari, degli F35, delle grandi opere non strategiche come la Tav, fino ad arrivare ad una patrimoniale. La proposta di Renzi sulla tassazione delle rendite finanziarie è interessante. Se qualcuno però pensa di usare le casse integrazioni, ricordo che quelle le pagano i lavoratori e le imprese. Servono molte risorse, oggi però non si possono mettere le mani nelle tasche dei lavoratori.

Come valuta la presenza dei lavoratori eletti nei Cda delle grandi aziende?

Renzi dice di ispirarsi al modello tedesco. In questo paese i lavoratori non fanno parte del consiglio di amministrazione di un’azienda, bensì di un ordine subordinato ad esso, il «consiglio di sorveglianza» dove i rappresentanti eletti discutono in maniera a monte e non a valle le scelte delle imprese.Un sistema che in Germania è normato da una legge. Se è questo il modello, discutiamone. Se invece si pensa che le quote di salario vengano attribuite con pacchetti azionari, usando i lavoratori come bancomat, allora siamo contrari. È bene che il salario resti vincolato alla prestazione lavorativa il più possibile.

Maurizio Landini insiste sulla legge della rappresentanza. Renzi è d’accordo. Ma di quale legge si sta parlando?

Lancio una sfida a Renzi. La commissione lavoro alla Camera sta ultimando l’analisi sulle varie proposte di legge. Sel ne ha presentata una che prevede il voto dei lavoratori. Se vuole, questa legge la possiamo fare in 30 giorni. Ci sta?