Maroccolo ha definito il disco con Antonio Aiazzi, Mephisto Ballad, «il nostro tardodiscodark», ma se si è d’accordo con le atmosfere cupe e le melodie dark, poco lo si può essere con l’aggettivo «tardo». L’album è più che mai attuale. Pubblicato da Contempo Records/Goodfellas, il nucleo primordiale dei Litfiba applica un suono new wave in penombra a una sostanza grigia e densa, certe volte minimale con il piano di Aiazzi che sembra dissolversi, mentre in altri si apre nelle architetture ritmiche che evocano quell’insolita cassetta pirata in cui ascoltavamo Eneide di Kripton, storico album dell’83 della band fiorentina quasi interamente strumentale e colonna sonora dell’omonimo spettacolo teatrale.

Il disco inizia – anzi si potrebbe dire riparte – da dove era stato lasciato con E. F. S. 44 Ethnological Forgery Series, ultima traccia del primo ep omonimo Litfiba (1982), l’oscurità e lo smarrimento, tanto da chiudersi con il ticchettio di un orologio a pendolo. Il progetto era in essere prima della pandemia, è cambiato qualcosa nel frattempo?

Maroccolo: «Siamo ripartiti da EFS44, da come eravamo. Ci siamo ispirati a questo brano un po’ atipico della produzione dei Litfiba rivivendo, tra ricordi e qualche emozione, quello spazio temporale indimenticabile. Abbiamo manipolato la composizione originale trascinandola nel presente. Il nostro e quello che tutti viviamo. L’oscurità e lo smarrimento di allora rimangono palpabili perché appartengono anche a questi giorni molto complessi. E più in generale appartengono all’essere umano da sempre: paradossale che anche nei momenti difficili invece di praticare la cooperazione la parte peggiore di noi (il male?) preferisca egoismo e dualismo. Mephisto Ballad nasce tanti anni fa in modo inconsapevole ma si manifesta naturalmente durante la pandemia, forse non a caso. Lavorando a EFS44 io e Antonio abbiamo scoperto di avere il desiderio e le suggestioni giuste per andare oltre e fare un album insieme. Per la prima volta in “duo”».

Nelle otto tracce c’è anche Flavio Ferri ai synth e alle chitarre. Eneide di Kripton è stato un disco/spettacolo che utilizzava delle tecnologie avanzate a quel momento, Mephisto è “nuovo” e “vecchio” allo stesso tempo, una continuità che fa riflettere sulla qualità della scena fiorentina di quegli anni.

Maroccolo: «Firenze negli anni ‘80 era una sorta di “laboratorio creativo” dove accadeva di tutto. Oltre a tutto quello strettamente legato alla musica ci fu un enorme fermento performativo e sperimentale che coinvolse un po’ tutte le discipline legate all’arte e ai vari linguaggi espressivi. Teatro di avanguardia, primi esperimenti di videoarte, danza, performance multimediali, scultura, pittura, editoria, fumetti, fanzines, fino ad arrivare anche all’ esplosione di una nuova scuola di attori e registi. Una meraviglia, insomma, dove si iniziavano a sperimentare anche le nuove tecnologie e l’aspetto più stimolante era proprio quello di incontrarsi e di interagire tra i vari linguaggi. È innegabile che l’incontro con Giancarlo Cauteruccio e l’esperienza dell’Eneide di Krypton fu esaltante e ci permise di scoprire l’universo performativo e la commistione tra le arti. Lo spirito di Mephisto Ballad è ovviamente condizionato da quelle esperienze ma da allora io e Antonio abbiamo sempre continuato a sperimentare e a vivere la musica con curiosità e questa piccola “opera” rappresenta ciò che siamo e sentiamo nel presente».

Giancarlo Cauteruccio della compagnia teatrale Krypton recita versi ispirati al Faust di Goethe. Qui non c’è il culto del diavolo, sembra più un dialogo col nostro lato oscuro.

Maroccolo: «Mephisto Ballad non è un’ode a Satana ma la nostra narrazione sonora di un momento profondamente oscuro che attanaglia gli esseri umani sempre più disposti a svendere la propria anima-vita in cambio del nulla. Del superfluo, dell’inutile. Un’ostinata ricerca di allineamento a modelli di riferimento vuoti vissuta con il terrore di perdere qualcosa o qualcuno. Spesso siamo noi che ci rinchiudiamo in una gabbia per sentirci al sicuro e quando accade non ci rendiamo conto di alimentare la parte peggiore di noi. Ogni tema, nota e suono in Mephisto Ballad narra in effetti l’ideale dialogo con il nostro lato oscuro e dove si è voluto rimarcare dei concetti attraverso la parola è stato naturale per noi invitare Cauteruccio a donarci la sua voce e la sua narrazione».

 

Nella title track sembra di ascoltare note che toccano tanti stati d’animo della trasformazione/del cambiamento di una persona. Forse uno dei brani più riusciti.

Aiazzi: «Da tempo con Gianni c’era una voglia comune di iniziare a fare qualcosa di nuovo insieme. Ci mancava un input scatenante che è arrivato ad ottobre grazie a Bruno Casini che ci ha invitato a partecipare ad un progetto sugli anni ‘80 a Firenze. Il fatto di riprendere EFS 44 (Litfiba) e creargli intorno il progetto Mephisto Ballad ha messo in moto quelle alchimie che si risvegliano ogni volta che ci mettiamo a suonare insieme, producendo in due mesi così tanto materiale che qualche brano, con grande dispiacere di entrambi, non è poi rientrato nel disco a causa dello spazio fisico limitato. Il brano Mephisto Ballad è stato il primo brano inedito composto e sono molto felice che ti abbia trasmesso uno stato d’animo o un immaginario. Un brano dovrebbe avere sempre una forza che vada aldilà della semplice bellezza delle note o degli arrangiamenti, deve catturare l’attimo più profondo. La perfezione, per certi versi, può diventare glaciale e Gianni è sicuramente dello stesso avviso. Poi forse il compositore è l’ultimo a capire cosa ha composto, perché quando sei immerso nella fase creativa, sei annullato, galleggi in una specie di limbo. Serve un po’ di tempo per rientrarci dentro».

Non c’è materiale della mitica Mephistofesta che si svolse a Firenze nel carnevale del 1982, uno snodo fondamentale nella storia dei Litfiba e di cui solo chi partecipò può portare la sua testimonianza.

Maroccolo: «In quella Firenze di cui parlavo prima ci capitò spesso di inventarci delle performance estemporanee. Spesso le improvvisavamo mentre altre volte le preparavamo in cantina. Quando con Bruno Casini si decise di creare una performance per il Carnevale a Piero venne in mente l’idea della Mephistofesta. Per l’occasione componemmo EFS 44, un brano oscuro, minimale e ipnotico. Una processione funebre allucinata e lisergica su un tappeto di suoni analogici e nastri rovesciati ad accompagnare il riff melodico di Ghigo. Un magma infernale direi. In teatro l’atmosfera divenne surreale tesa e un po’ grottesca. Mentre noi sul palco suonavamo EFS una bara attraversava la platea tra fumi, saette e lampade wood, dalla quale, una volta posta sul palco, uscì Piero che iniziò a fare vocalizzi e a muoversi come un ossesso. Il tutto durò circa una ventina di minuti dopodiché suonammo i 3 o 4 pezzi più dark del nostro repertorio di allora. La bara che Piero costruì a casa di Antonio, se non ricordo male diventò poi – dopo le dovute modifiche – il portapacchi che usammo per qualche anno sopra l’auto e in cui mettevamo gli strumenti quando andavamo a suonare».

Forse il periodo new wave si è consumato troppo presto (e in un certo senso dimenticato), un momento sperimentale unico che ha forgiato una scena.

Maroccolo: «Non credo che anche la parte più sperimentale degli anni ‘80 sia finita né, tutto sommato, che sia stata dimenticata. Voglio pensare che si sia trasformata in altro e che sia stata presa come ispirazione per le avanguardie che si sono succedute. È stata un piccolo punto di riferimento per chi continua e per chi inizia a sperimentare ulteriori nuovi linguaggi e commistioni. In fondo la bellezza di quel periodo stava anche nella ricerca dell’incontro e del confronto tra artisti, apparentemente lontani tra loro, ma che ebbero il coraggio e il desiderio di celebrare le differenze e la condivisione».

Gli altri Litfiba hanno ascoltato il disco, forse riconoscendocisi, ritrovando un elemento della loro storia, scritto o da scrivere.

Aiazzi: «Hanno ascoltato EFS 44 in anteprima, in quanto coautori: era una cortesia dovuta. Piero ha risposto subito che gli era piaciuta la versione. Ghigo si è preso un po’ di tempo per ascoltarla con calma e poi mi ha detto pochi giorni fa che era rimasto il sapore del brano ma si era sviluppato tutto, una bella versione. Per quanto riguarda il riconoscersi nel disco non saprei proprio, penso però che fino a dieci anni fa non si sarebbero riconosciuti in un mondo che ricorda la dark-new wave. Ma poi c’è stata la reunion per Trilogia, dove quelle atmosfere le abbiamo di nuovo avvicinate e suonate, ed è stata una sorpresa scoprire come quei brani fossero ancora così belli e come ci piacesse suonarli, cosa assolutamente non scontata. Penso che un musicista debba sempre guardare avanti, cercare, scoprire, sperimentare, in un certo senso anche giocare. Tutto quello che hai fatto prima è la tua esperienza ma anche il tuo valore».