Come far luce sulla vita di una donna caduta nell’oblio? Akademia Performing Life indica una via associando archivi e arte contemporanea, alla Villa Vassilief di Parigi sino al 24 marzo. Curata da Inga Lace e Solvita Krese del Latvian Center for Contemporary Arts (e Camille Chesnais della Villa Vassilief), la mostra s’iscrive nel programma espositivo Portable Landscapes che, dopo Parigi toccherà Riga, Gotland, Berlino e New York.

Le due curatrici vi indagano la diaspora artistica lettone, dai primi del ’900 ai giorni nostri, una figura chiave per città. A Parigi è la danzatrice e pubblicista Aia Bertrand (nata Victoria Ivanova, nel 1891), che giunge nella capitale francese nel 1911 per studiare alla Sorbona ma, inseguendo la sua passione per la danza, finisce per consacrarsi totalmente all’Akademia Raymond Duncan, fondata nello stesso anno dal fratello maggiore di Isadora Duncan, l’inventrice della danza libera, con la sua prima moglie, la danzatrice greca Penelope Sikelianou.

ARTISTA OLISTICO, Raymond (nato nel 1874) inventa l’actionalisme, «filosofia moderna per l’oggi e il domani » e «tecnica di esistenza» che salda lavoro, arte e movimento fisico alla vita quotidiana. In armonia con la natura e in aperta opposizione all’industrializzazione, al capitalismo, e all’ideale borghese, «artefici di disumanizzazione». D’ispirazione platonica, l’Akademia coniuga arte e artigianato sotto il segno dell’innovazione, con un doppio obiettivo: fabbricare tutto il necessario per vivere e insegnare tutto il necessario per l’armonia del corpo e dello spirito (danza, musica, canto, arte, teatro, filosofia greca…).

I corsi sono aperti a chiunque, così come la mensa rigorosamente vegetariana. Tra gli allievi divenuti celebri, il pittore Tsuguharu Foujita, il musicista Edgar Willem, e le danzatrici Akarova e Lucia Joyce. I membri della comunità (gran parte sono donne) eseguono tutte le attività, dalla filatura della lana e la tessitura di stoffe e tappeti alla fabbricazione di sandali e tuniche ispirati all’Antica Grecia, che indossano in permanenza (quasi una divisa che ha tra i suoi scopi quello di abolire le differenze di classe).

L’Akademia che, dopo un lungo nomadismo, trova sede stabile a Parigi nel 1929, al 31 rue de Seine, nel quartiere di Saint-Germain-des-Près (nello stesso palazzo già abitato da George Sand nel 1831), include anche un teatro, una galleria d’arte (con annesso Museo dei Duncan), e una tipografia artigianale per la stampa di libri, saggi, poesie, pamphlet, e altri periodici. Nell’episodio di Around the World with Orson Welles girato nel quartiere parigino nel 1955, l’artista ormai ottantenne introduce il regista nei diversi spazi dell’Akademia sintetizzando il principio che lo guida da sempre: «Fabbrica da te tutto ciò di cui hai bisogno e cerca di non aver bisogno di ciò che non puoi fabbricare».

NEL FILMATO (in mostra) non c’è traccia di Aia Bertrand, eppure la danzatrice dirige la comunità insieme a Raymond Duncan, di cui è la seconda moglie, dagli anni ’20. Gestisce la galleria d’arte, organizza i concerti settimanali (Alan Stivell vi esordisce giovanissimo), supervisiona la fabbricazione dei sandali, e mette in scena gli spettacoli teatrali. Danzatrice, filatrice, tessitrice, è anche caporedattrice del periodico dell’Akademia New-Paris-York (in Viva la Lettonia del 1944, difende l’indipendenza del suo paese certa che «il grande Stalin adesso che ha liberato i paesi baltici dalla dominazione tedesca, vorrà seguire l’esempio del grande Lenin» che nel 1918 l’aveva riconosciuta per la prima volta). Scrive poesie, traduce in francese opere di letteratura lettone, e tra le due guerre organizza la rappresentazione di testi teatrali di Duncan a Riga.

Figura eminente della diaspora lettone a Parigi, mantiene uno stretto legame con i circoli artistici e culturali del suo paese. E per un periodo l’Akademia ospita pure l’ambasciata Lettone in Francia. Ma il suo paese ha oggi di lei solo un vago ricordo: «È nota per il suo abbigliamento eccentrico e per la sua accoglienza nella capitale francese di connazionali, di cui esponeva opere nella galleria», ci dice Inga Lace.

DA QUI LA MESSA A FUOCO della mostra: «Abbiamo scelto di rendere Aia molto più visibile di quanto non sia nei testi che trattano dell’Akademia come creatura esclusiva di Raymond Duncan. Il suo ruolo nella comunità e nel suo sviluppo è stato invece fondamentale come provano gli archivi conservati dalla famiglia, dove abbiamo trovato anche un gran numero di sue fotografie in azione». In mostra, oltre a suoi manufatti, la vediamo evolvere nel corso degli anni immersa nelle varie attività, dalla danza e altre performances teatrali all’insegnamento, passando per la tipografia e la tessitura.

DOPO LA MORTE di Duncan, nel 1966, continua a tenere aperta l’Akademia, che attira ancora gli artisti ribelli. Christian Boltanski, Bernard Borgeaud, André Caderé, Jean Le Gac, Sarkis, Annette Messager e Laurent Sauerwem, scelgono la sua galleria nel 1972, per la loro mostra contro l’istituzionalizzazione dell’arte resa visibile in 60-72. Douze Ans d’Art Contemporain en France al Grand Palais. È l’ultimo grande evento dell’Akademia prima della chiusura, avvenuta subito dopo la morte di Aia Bertrand, nel 1978.
Quarant’anni più tardi, questa mostra ha il pregio di riportarla alla luce per farla dialogare con l’arte di oggi, attraverso una decina di artiste e artisti, lettoni per la maggior parte.

ESTENDENDO LO SGUARDO sulla pedagogia alternativa dell’Akademia, nella sua videoinstallazione, Ieva Epenere punta i riflettori sulla Scuola Verde, fondata nel 1900 alla periferia di Riga da Augusts Dombrovskis per i figli della classe operaia, e diretta da Marta Margarita Rinka (1880-1953) che vi applica e sviluppa la pedagogia, allora rivoluzionaria, dell’imparare facendo, da lei appresa alla Pestalozzi-Fröbel-Haus di Berlino (fondata nel 1882 da Henriette Schrader-Breymann, l’inventrice della « maternità intellettuale »). Barbara Gaile s’ispira della produzione tessile dell’Akademia per le sue sete dipinte. Mentre, con le sue partizioni ricamate su plastica per performances a venire, l’argentina Mercedes Azpilicueta celebra la visione dell’arte totale praticata nell’Akademia. Daiga Grantina evoca nella sua scultura la silhouette della coppia Aia e Raymond, assemblando diverse materie in riferimento alla vita quotidiana e all’attività editoriale della comunità.

Nel suo film Equal Tense, girato a Riga e Atene, Ieva Balode confronta la danza buto con le figure di danza creata da Raymond e Isadora Duncan. E, in omaggio all’attività editoriale dell’Akademia, l’artista stampa una fanzine in cui le sue fotografie si accordano con frasi scelte di Raymond Duncan (la bellezza è necessaria quanto il cibo; l’azione è parte viva del corpo dell’eterno; l’intelligenza viene dalle mani).
Andrejs Strokins esplora, lui, le similitudini tra le fotografie in bianco e nero di eventi collettivi della Lettonia tra le due guerre e sotto occupazione sovietica, con le fotografie di eventi dell’Akademia, evidenziando una forma estetica comune malgrado le differenze di contesto. Sul filo dell’utopia, la svizzera Mai-Thu Perret, con la sua serie The Chrystal Frontier; iniziata nel 1999, tesse la memoria di una comune femminista di sua invenzione, che si rifugia nel deserto del Nuovo Messico per sfuggire al patriarcato, al capitalismo e alla società consumista.
L’artista ne narra la storia, ricreando oggetti quotidiani (vestiti, tappeti, mobili, ceramica) e oggetti di culto, tutti fabbricati artigianalmente, pubblicando testi diversi (diari, carteggi, poesie, articoli di stampa, canti, spettacoli teatrali, manifesti…), e realizzando video, performances e installazioni.

INVESTIGAZIONE BIOGRAFICA di nuovo genere, infine, quella della francese Myriam Lefkowitz: attraverso un dispositivo di sedute individuali in forma d’ipnosi immaginante, sfida l’oblio per incorporare le vite possibili di Aia Bertrand e dell’Akademia. Le percezioni, sensazioni, memorie, immagini, pensieri e gesti generati nelle sedute, alimentano la sua coreografia Aias. Moltiplica così le identità fantomatiche della danzatrice lettone che, con questa mostra, esce dall’ombra, per danzare di nuovo sull’orlo della storia. La nostra.