Sono attoniti testimoni di fatti già consumatisi nel chiuso di uno spazio che è prima mentale e poi fisico, i venti spettatori ammessi, in una location extra teatrale, a ogni replica di Scene di violenza coniugale. E i dialoghi scorrono veloci nell’appartamento privato in viale del Campo Boario (fino al 2 giugno), a due passi dal Teatro India, dove, in una sorta di staffetta, è stato in scena Non mi ricordo più tanto bene, altra pièce di Gérard Watkins, questa però prodotta dal Teatro di Roma per Fabulamundi Playwriting Europe, insieme a Pav. Due testi diversissimi nel ritmo e per la tangibilità delle tematiche affrontate, pervasi entrambi dall’urgenza di raccontare il nostro presente, che sembra spingere alla scrittura il drammaturgo anglo-francese.

MESSO in scena dallo stesso Watkins, Non mi ricordo… solletica l’attenzione per quel vecchio ultranovantenne che ha perso la memoria – forse affetto da Alzheimer – «assistito» da un uomo maturo e da una giovane donna (un bravo Carlo Valli, accanto a Gianluigi Fogacci e Federica Rossellini), in un gioco di ruoli indefinito e in un luogo totalmente astratto, dove trovano posto immaginifiche e soggettive ricostruzioni di possibili realtà. Ma quando poi la situazione già rarefatta tracima in un terreno di puro lirismo, il filo si perde e pure le intenzioni della grande metafora sul nostro oggi.

DI OPPOSTA consistenza Scene di violenza coniugale (tradotto anch’esso dal francese da Monica Capuani, e freschi di stampa per i tipi della Cue Press), messo in scena da Elena Serra, raccoglie tutto il sudiciume della sopraffazione dell’uomo sulla donna, in un concentrato di insopportabile realtà. Due coppie si alternano rapidissime nello spazio deputato all’azione, dal primo incontro all’impossibile convivenza e all’ineluttabile epilogo. In una lingua sporca e quotidiana, Watkins disegna quattro personaggi di diversa estrazione sociale, in cerca della propria identità. Tutti e quattro con vissuti danneggiati, la ragazza madre incolta e proletaria (Clio Cipolletta) si unisce al fotografo-artista frustrato e supponente (Roberto Corradino), mentre la studentessa musulmana emigrata da bambina (Annamaria Troisi) si accoppia col meccanico afro-francese anaffettivo, tossico e spacciatore (Alberto Malanchino). Un’umanità che fugge dal disastro e approda ai margini della Parigi luminosa e affascinante, dove le più deboli soccombono, nel disperato tentativo di liberarsi.