L’esclusione dal mondo del lavoro è un potente mezzo di controllo sia delle classi subalterne sia delle minoranze politiche all’interno degli Stati.

Nel caso dell’Iran, le condizioni di stallo dell’economia interna hanno, negli anni, portato ad un progressivo allargamento del segmento di disoccupati, con particolare incidenza nelle aree rurali e nella fascia 18-24 anni, con immediate ricadute sulle condizioni di vita della popolazione.

All’interno di questo contesto, la condizione dei kurdi iraniani risulta particolarmente grave ed è direttamente collegata delle politiche discriminatorie del governo di Teheran. Da un lato, il mancato riconoscimento delle minoranze linguistiche, impedisce a queste ultime di accedere all’istruzione in maniera paritaria con conseguenti alti tassi di abbandono scolastico anche tra i più giovani.

In seconda battuta, a fronte di un crescente tasso di povertà, la difficoltà di accesso ai sussidi statali esclude dalla formazione le fasce tradizionalmente più deboli e, in particolare, indebolisce in maniera significativa il tasso di istruzione femminile.

A questo aspetto si associa la mancanza di infrastrutture e di investimenti da parte del governo centrale nell’area del Kurdistan iraniano. Secondo quanto denunciato da Muhsin Biglary, rappresentante kurdo delle città di Saqqez e Bana nell’Assemblea Consultiva Islamica dell’Iran, le problematiche dell’area sono numerose e il governo di Hassan Rouhani non avrebbe dato seguito alle promesse elettorali di miglioramento della rete stradale e di potenziamento della tutela sociale di queste popolazioni.

A fronte di un alta incidenza di incidenti stradali, di un crescente tasso di disoccupazione e di una perdurante arretratezza del sistema economico locale, l’impoverimento dell’area sarebbe, ad oggi, continuo e difficilmente arrestabile.

La diretta conseguenza di questi fenomeni è una compressione delle possibilità lavorative dovuta al basso livello di istruzione e di specializzazione e la disponibilità ad impieghi pericolosi e/o dannosi per la salute. E’ questo, ad esempio, il caso dei Kulbaran. Il termine kurdo Kulbar è costituito da “Kul” che significa dietro e “bar” che significa portare mentre Kulbaran è la forma plurale del termine.

Nel generale impoverimento della regione, queste figure di portatori che trasportano, sulla schiena o con cavalli e muli, merci come tè e tabacco attraverso il confine Iran-Iraq sono aumentate in maniera significativa. Il lavoro è estremamente pesante e il guadagno giornaliero è di circa 10 dollari, ma le problematiche maggiori sono quelle legate alla sicurezza.

Secondo quanto riportato dalla Hangaw Human Rights agency, nel solo 2016 almeno 49 Kulbaran sono morti e 47 sono rimasti feriti. Tra coloro che sono deceduti, quattro sono stati vittime di incidenti stradali, tre sono affogati nei fiumi che stavano tentando di attraversare, uno è morto per arresto cardiaco e i restanti sono stati colpiti dal fuoco degli agenti iraniani di frontiera.

Davanti alle denunce, il governo ha risposto di non riuscire a distinguere i portatori dai trafficanti e di non essere, per questo, accusabile di alcuna violazione. Secondo i membri della comunità locale, invece, la mancata verifica delle generalità prima di sparare sarebbe una scelta deliberata data dall’impunità garantita in caso di errore.

Appare, così, evidente come le problematiche lavorative ricoprano un ruolo di primo piano nella quotidianità della popolazione locale. In base ai dati raccolti dalla Kurdistan Human Rights Association, inoltre, nel solo mese di dicembre 2016, sono stati registrati numerosi eventi connessi al mondo del lavoro.

Oltre ad alcuni gravi casi di morte sul lavoro, a causa del mancato pagamento degli stipendi e di inadeguate condizioni lavorative, si è assistito anche ad importanti momenti di protesta come nel caso degli operai agricoli a Mahabad, dei tassisti a Marivan e degli edili alla diga di Samira e ad Ilan.

L’aspetto economico si lega, dunque, in maniera indissolubile con le dinamiche politiche. Secondo le denunce di numerose organizzazioni per la tutela dei diritti umani, il livello repressivo dello stato iraniano rispetto alle opposizioni non è diminuito in maniera significativa dopo l’elezione del governo moderato.

Nelle prigioni di Stato, la percentuale di detenuti appartenenti alle opposizioni e, in particolare alla minoranza kurda, è molto alto e questo fenomeno ha dirette conseguenze sul piano economico. Da un lato, questo fattore induce molti dei lavoratori ad accettare condizioni di lavoro inadeguate per paura della repressione e dall’altro, priva la società curda di un ampia fetta del proprio contingente lavorativo giovanile.

Per quanto la composita struttura sociale del Kurdistan iraniano non consenta di parlare di contrapposizione di classe tra governo centrale e minoranza kurda, dai dati raccolti risulta evidente come l’impoverimento dei territori e la mancanza di politiche sociali possano creare le basi per il radicamento di gruppi di opposizione.

La marginalità economica, associata alla discriminazione etnica, è stata, infatti, fin dagli albori un potente input alla partecipazione. Pur nelle differenze tra le diverse anime del movimento kurdo, nella costruzione ideale di una futura società kurda, indipendente o autonoma, un ruolo di primo piano è stato ricoperto dalla volontà di trasformazione del sistema economico in senso maggiormente inclusivo.

Nella rivendicazione di maggiori diritti e di adeguati standard di vita, i diversi settori della società curda, sia le classi proletarie e sotto-proletarie sia la borghesia locale, hanno, così, aderito ai diversi partiti kurdi, allargando, in alcuni casi, le file della lotta armata.