Tensioni senza fine tra Parigi e Bamako, dopo il botta e risposta di questi giorni a causa del ritiro del contingente militare danese (90 militari) all’interno della missione anti-terrorismo «Takuba» – 12 paesi europei impegnati, compresa l’Italia – richiesto dal primo ministro Choguel Maïga perché «non concordato con il governo maliano, ma avvenuto per procura attraverso la Francia».

RICHIESTA ETICHETTATA dalla ministra della Difesa francese, Florence Parly, come «provocazione» di una giunta militare «illegittima che rifiuta elezioni democratiche». Dichiarazioni pesanti che si aggiungono a quelle del ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, che ha minacciato di «rivedere completamente tutti gli accordi di collaborazione, ipotizzando un ritiro totale dei militari francesi dal Mali».

Da parte sua Bamako attraverso il colonnello Abdoulaye Maïga, ministro e portavoce del governo di transizione, ha invitato la ministra Parly a «rispettare il principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato», accusando la Francia «di sfruttare le organizzazioni sub-regionali africane (la Cedeao, ndr) per i propri interessi e di mantenere un atteggiamento colonialista nei suoi rapporti con il Mali». Da mesi le relazioni con la Francia, impegnata militarmente nel Sahel, sono fortemente deteriorate anche per la volontà di Parigi di diminuire la propria presenza nel paese e per l’accusa a Bamako di aver assoldato un migliaio di mercenari russi della compagnia Wagner.

UNA CIRCOSTANZA che in un’intervista a Radio France International il ministro degli Esteri maliano Abdoulaye Diop è tornato a smentire, pur confermando «la collaborazione con la Russia attraverso un’intesa tra i due Paesi» per una rinnovata cooperazione «in termini di fornitura di armamenti e addestramento militare», dopo l’incontro bilaterale con il suo omologo Sergej Lavrov lo scorso novembre a Mosca.
I rapporti con Parigi sono ulteriormente peggiorati da quando i militari maliani, dopo aver garantito alla comunità internazionale elezioni democratiche nel febbraio 2022, hanno ritrattato la propria decisione indicando la «necessità di altri 4 anni di transizione».

PROPOSTA considerata «irricevibile», lo scorso 9 gennaio, dall’Unione africana e dalla Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) con l’imposizione di nuove sanzioni. Un embargo è stato imposto ieri anche al Burkina Faso, ovvero alla nuova giunta militare guidata dal tenente-colonnello Paul Henri Sandaogo Damiba, leader del Movimento Patriottico per la salvaguardia e la restaurazione (Mpsr).

L’epidemia di colpi di stato militari in questi ultimi 18 mesi ha colpito Guinea Conakry, Ciad, Sudan, Mali e Burkina Faso. Riguardo a Mali e Burkina, secondo numerosi analisti, la strategia di logoramento seguita dai gruppi jihadisti è stata decisiva nella caduta di due presidenti eletti democraticamente, ma indeboliti e screditati dalla loro inerzia. «Subiamo il peso della strategia dell’usura imposta dai gruppi jihadisti – ha detto all’Afp il ricercatore maliano Boubacar Haidara – che consiste nell’essere pazienti nel seminare divisione e destabilizzazione per affermarsi e sostituirsi in territori abbandonati dal governo».

I GOLPISTI DI ENTRAMBI I PAESI hanno in comune l’esasperazione legata all’incapacità delle autorità di contrastare il deterioramento della sicurezza per le popolazioni che, combinato con un governo assente e una corruzione diffusa, ha creato una «profonda spaccatura tra i leader politici e il loro popolo, compresi i militari».

Errata Corrige

Il Mali furioso per l’arrivo «non concordato» dei soldati danesi inquadrati dalla Francia nella missione Takuba, La Cedeao intanto sanziona anche il Burkina Faso dopo il golpe di domenica scorsa