C’è stato un tempo in cui il vecchio e il nuovo mondo convivevano ancora. Erano gli anni Sessanta. L’Italia diventava meccanica e industriale e abbandonava l’era contadina millenaria per trasformare il proprio territorio da luogo di relazione a spazio di occupazione. In quel tempo in cui i contrasti generazionali e culturali aprivano conflitti all’interno della società e delle stesse famiglie, il Paese si apriva ad una modernità e con essa al benessere. Si passava dall’aratro al tornio, dalla bicicletta alla Vespa Piaggio e finalmente si poteva anche pensare di avere un bagno in casa completo di servizi, eliminando finalmente e per sempre la latrina dall’aia.

IN «SE L’ACQUA RIDE» (Einaudi, pp. 183, euro 18.50) Paolo Malaguti racconta questo vero e proprio passaggio epocale della società italiana partendo da una storia minima ambientata ai confini del Po. Il racconto dei burchi che navigavano i fiumi da Venezia a Cremona trasportando merci ancora con il favore del vento. I protagonisti sono Ganbeto, un ragazzino, e suo nonno Caronte, navigatore di canali e suo severo maestro e paron. Malaguti mischia con abilità locuzioni dialettali a una lingua diretta che evita la cartapesta impressionistica di un’Italia anni Sessanta da cartolina e restituisce un inedito quadro in cui la durezza della vita e l’entusiasmo ingenuo del tempo si legano trasformando le giornate e la loro asprezza in speranza, ma anche in consapevolezza. Quella di un tempo che lento agisce fino a esaurire il proprio senso, trasformando la propria forma e il destino di chi lo vive.

LA SCUOLA come luogo primario di emancipazione in cui Ganbeto avverte la distanza dai genitori, la lingua che si fa sempre meno dialettale, le parole che diventano sempre meno sconosciute e poi la fabbrica, l’officina. Due luoghi chiusi dunque legati l’uno all’altro dalla possibilità di sfuggire a una condizione data da generazioni. Eppure al tempo stesso luoghi capaci di contenere una sensazione di sconfitta insieme alla speranza. La fabbrica denuncia già dentro il suo corpo dal sapore metallico e fumoso il segno di uno sfruttamento dell’uomo sull’uomo non così percepibile un tempo tra le correnti dei fiumi, sotto il sole e in mezzo ai campi.

È un tocco lieve quello di Paolo Malaguti nel raccontare una vicenda di formazione che vede Ganbeto vivere in equilibrio tra due mondi fino all’esplosione definitiva dell’acqua Granda che tutto rimescola e infine tutto separa. Un romanzo quasi neorealista che ha poco da invidiare alle narrazioni di Carlo Cassola come a Libera nos a Malo di Luigi Meneghello, ma che soprattutto in questo periodo post-covid riesce a rimettere in discussione scelte di vita e futuro che si legano troppo spesso a un’ineluttabilità di maniera e consolatoria. Se l’aqua ride è un romanzo contemporaneo in forma classica che riprende la lezione dei maestri popolari del secondo Novecento e che raccontando del tempo del boom racconta della nostalgia dell’oggi che tuttavia non viene da quella forma di modernità, ma dal suo stesso tradimento.